La Nuova Sardegna

Nasce a Sorso nell’Ottocento la nuova chiesa dell’orgoglio

di Sandro Roggio
Nasce a Sorso nell’Ottocento la nuova chiesa dell’orgoglio

Le migliori maestranze e l’architetto del re per l’impegnativo cantiere della modernità

17 febbraio 2018
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Capita che nei centri minori si realizzino spinte al cambiamento paragonabili a quelle delle città. Da energie e circostanze casuali sono dipese inaspettate trasformazioni di piccoli paesi sardi, in grado di suscitare orgoglio civico e successivi progressi. La edificazione della chiesa di San Pantaleo a Sorso è una delle più impegnative imprese realizzate in Sardegna nel primo Ottocento. Evento importante per il borgo agricolo (oltre 4mila abitanti nel 1838 quando Sassari ne aveva 22mila), determinato a fare pesare il proprio rango.

Una chiesa prestigiosa. La ricostruzione della chiesa, nel sito occupato dalla vecchia demolita, impegnerà la comunità locale per una ventina di anni a partire dal 1835. Il programma, disposto dal vescovo Gianotti, si inquadra nella esigenza della Curia turritana di disporre di luoghi di culto più prestigiosi e a cui fa da controcanto l’interesse municipale al rinnovo urbanistico, nella linea sbrigativa togli il vecchio/metti il nuovo. L’antica chiesa, a tre navate, era sicuramente malridotta ma pregevole. Ancora ben fondata, se per demolirla è stato necessario ricorrere a una buona dose di esplosivo, come risulta dai documenti. «Per eriger questa chiesa – scrive Giovanni Spano – fu distrutta l’antica, e per i materiali si fece un altro sproposito di distruggere quella di S.Andrea d’ Elighe, dove stava l’antica città di Helicon, patria dello storico e celebre Sernesto. A metà di strada tra Sorso e Sassari».

Tutto fa pensare che il mitico insediamento (Gelithon mirabile, secondo le fonti di Alberto Della Marmora) sia servito a lungo per ricavare materiale da costruzione.

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L’architetto Antonio Cano. Ad occuparsi del rinnovamento della chiesa era stato chiamato nel 1829 Giuseppe Cominotti, architetto piemontese impegnato nei lavori della strada reale e autore di importanti opere nelle città sarde, tra cui il palazzo- teatro del capoluogo turritano. Ma il proposito di aggiustare il transetto della vecchia fabbrica è rimasto sulla carta. Più allettante l’idea di ostentare una nuova chiesa: affidata all’architetto e scultore sassarese Antonio Cano (1775-1840). Il francescano apprezzato dalla famiglia reale, tanto da meritarsi una borsa di studio a Roma, presso l’Accademia di San Luca (sotto la guida di Giuseppe Valadier, Giulio Camporese e Vincenzo Camuccini). Apprezzato nonostante il l’avversione di illustri intellettuali, come Giovanni Spano, per la sua disinvoltura nella demolizione di pregevoli antichi manufatti, per quanto fosse la propensione del tempo a liberare le città da opere appartenenti a un passato fosco. Cano era l’autore della complessa ristrutturazione della chiesa di Santa Maria di Betlem a Sassari, conclusa con successo. Un titolo sufficiente per l’accoglienza a Sorso, insieme alla sfida lanciata dalla Curia. Il vescovo sovrastimava la ricchezza della Parrocchia proprietaria di alcuni fondi e di edifici ceduti in affitto. E faceva conto sulla determinazione del borgo – con un ruolo di rilievo nell’economia del territorio – a rafforzarsi. Soprattutto da qui l’impegno per edificare la chiesa grande – “gésgia manna” ancora oggi – con un’ organizzazione proporzionata al disegno di Cano: una «giunta particolare» formata da una dozzina di deputati per affrontare le questioni connesse alla realizzazione dell’opera.

Un cantiere per imparare. Dai verbali e dai fogli delle spese, emergono le difficoltà nell’allestimento di un cantiere smisurato rispetto all’esperienza locale. Un’ opportunità di crescita per la popolazione che apprenderà tecniche sconosciute di lavorazione di materiali importati da luoghi vicini o lontanissimi, a conferma della complicata geografia delle forniture di materiali e della scarsa disponibilità di maestranze nell’isola. La gran parte dei legnami di provenienza del territorio di Osilo, i “segatori” sono “di Terraferma”( indisponibili nelle stagioni nelle quali è più facile contrarre le malattie dell’ isola), la pietra per alleggerire gli estradossi delle volte viene da Ploaghe, i piccapietre di Florinas addetti alla messa in opera delle cornici, il fabbricante di mattoni è un certo Pietro Sampò, il pavimento proviene dalla Liguria trasportato per conto di un certo Callegari.

La calce è prodotta in casa, nella fornace di “Pian di luni” a pochi chilometri dall’abitato, nessun problema per il rifornimento di legna per fare fuoco alla temperatura di 1500° per cuocere il calcare. Vigilare sull’andamento dei lavori ovvero fare tornare i conti: trovare le soluzioni per procedere speditamente e per risparmiare. Ad esempio coinvolgendo nei lavori in appalto la popolazione, comprese le donne e i ragazzi per il trasporto di acqua, sabbia, legna, pagati molto meno degli uomini muratori, cavatori, cavallanti. Tutto secondo le istruzioni del progettista date in occasione della prima visita a Sorso dopo lunga attesa («Finalmente lo stesso Superiore – annotano i deputati il 23 aprile del 1835 – disse d’essere vicina la venuta dell’architetto Fra Antonio Canu»). Ma gli imprevisti non daranno tregua, come in ogni opera complessa. Con ritardi ragguardevoli nel completamento.

Una grande sfida. Come nella maggior parte delle opere realizzate nel passato, non c’è traccia del progetto. Viene meno così la possibilità di confrontare il manufatto con i dettagli delle previsioni. Ma si ritiene che l’esecuzione sia sostanzialmente coerente con l’impostazione di Antonio Cano, malgrado le rinunce nel conclusione del prospetto desumibili dai documenti. E nonostante la scomparsa dell’architetto nel 1840 dopo la caduta dal ponteggio mentre dirigeva i lavori della cattedrale di Nuoro. L’opera era arrivata a una fase molto avanzata e le ultime indicazioni erano state impartite da Cano nel 1838.

La chiesa di Sorso esprime la poetica dell’architetto, rappresenta la sua adesione alla formula del classicismo d’autore e ai più illustri edifici di culto del Rinascimento romano, ovviamente con il consenso delle autorità ecclesiastiche. Immaginabile che la sua scomparsa abbia disorientato le maestranze impiegate nella fabbrica e rallentato le decisioni della deputazione: da cui il ritardo di circa 10 anni nei lavori fondamentali (il campanile sarà costruito alla fine del secolo). Su questo rallentamento ha inciso molto l’incertezza sulla realizzazione della grande cupola: con tamburo secondo il progetto, in alternativa una “mezza calotta” o una più dimessa soluzione a volta.

Il soccorso di Angelo Maria Piretto e di Francesco Agnesa, i più promettenti architetti sassaresi a metà del secolo, incoraggerà la soluzione più ardita ed elegante che vediamo oggi. Piretto curerà in seguito la realizzazione della chiesa di San Sisto e Agnesa della più maestosa chiesa di San Giuseppe, i primi edifici di culto della città capoluogo nel secolo XIX. L’esperienza svolta nel cantiere di Sorso messa a frutto altrove.


 

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