La Nuova Sardegna

“Luce perfetta” Il Novecento sardo di Fois

Alessandro Marongiu
“Luce perfetta” Il Novecento sardo di Fois

Da domani in edicola il quarto volume  della collana “Scrittori di Sardegna” 

22 febbraio 2018
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«Non è il movimento che muove le cose. Quasi sempre a muoverle è la stasi. E allora perché non succedesse niente, bisognava muoversi: questo sapeva, senza ombra di dubbio, Marianna». “Marianna” è Marianna Chironi: per la precisione, una dei due ultimi Chironi ancora in terra. Gli altri, lei che ora ha quasi ottant’anni, li ha sepolti uno dopo l’altro. Di qualcuno, come della madre e del fratello, in verità ha sepolto un abito e l’idea, ché i loro corpi si sono persi chissà dove e nessuno più li ha rintracciati: ma la sostanza non cambia. Adesso ci sono solo lei e il pronipote Cristian, erede della genia, con tutto quello che tale eredità implica. Perché al giovane sono spettati azienda e patrimonio, certo, ma anche, dei Chironi, appunto i geni: e visto che il seme della stirpe era bacato, tutta la stirpe è bacata, lui compreso. A celare come Marianna il movimento nella stasi c’è, ma nelle vesti d’avversario, Giovannimaria Guiso, che è stato il primo e miglior amico di Vincenzo, il padre di Cristian.

Mimmìu, così lo chiamano, ha vissuto davvero appena per sedici anni, e di luce riflessa: dal 1943, quando ha incontrato Vincenzo, al 1959, quando lo ha tirato giù dall’albero a cui si era appeso senza lasciare parola alcuna a motivare il gesto. Il tempo successivo l’ha speso a erodere con ogni sua fibra la distanza tra i Guiso e i Chironi, arrivando quasi ad averli in pugno quando è entrato in società con loro e s’è fatto ricco. Ma, gli sibila una volta Marianna, «Tanto rimani quello che sei»: e non gli sta rivelando niente di cui lui comunque non abbia sempre avuto consapevolezza. Mimmìu non ha però mai pensato di darsi sconfitto, anche perché ha da muovere la sua pedina per provare a vincere la partita, e cioè il figlio Domenico, fratello non di sangue ma di fatto di Cristian, di cui è più grande giusto di un paio d’anni. I due ragazzi – «corpulento e massiccio, scurissimo di capelli e di occhi» il primo, «lungo e magro» e «tendente al chiaro» il secondo – sono cresciuti assieme e sono legati come più non potrebbero, non fosse che a loro è legata anche Maddalena Pes: che, fidanzata e futura sposa di Domenico, ama, ricambiata, Cristian.

Poi un giorno Cristian si trova implicato in una brutta vicenda, e fuggendo le pallottole della polizia scompare nelle acque toscane. Un’altra bara vuota, per Marianna, che non solo non si scompone più di tanto, ma dentro di sé si scopre perfino in pace: morta lei, i Chironi non saranno più. Nessuno li rimpiangerà, e qualcuno invece tirerà un sospiro di sollievo. Altro che quella con Mimmìu, per lei la vera partita è questa: al lato opposto della scacchiera c’è il Destino, ostinato nel far fruttare il seme bacato, mentre lei gli gioca contro con l’obiettivo della fine, di tutto, e di tutti i suoi. Per cause di forza maggiore gli antichi duellanti, Marianna e Mimmìu, dovranno lasciare il campo a quelli della generazione seguente: e se sarà mutato qualcosa, se i rapporti tra stasi e movimento si dovranno riscrivere, saranno gli anni a sentenziarlo.

Pubblicato da Einaudi nel 2015, dopo l’iniziale “Stirpe” del 2009 e “Nel tempo di mezzo” del 2012, “Luce perfetta”, da domani in edicola con La Nuova per la collana “Scrittori di Sardegna” (a 6,70 euro oltre il prezzo del quotidiano), è il terzo tassello della saga che Marcello Fois ha dedicato alla famiglia dei Chironi. La quale, generata dal niente, ha trovato il modo di attraversare tutto il Novecento accanto alla Grande Storia, che spesso, compagna di narrazione, le è stata però acerrima nemica.

Così accade anche in “Luce perfetta”, con il suo doppio sfondo, locale e nazionale, per le vicende di Miriam e Cristian, e di Mimmìu, Domenico e Maddalena. Il romanzo racconta infatti anche la trasformazione di Nuoro, oltre che quella dei Chironi, nati fabbri e diventati costruttori: «Nei tempi nuovi gli stracci del boom economico erano arrivati in Barbagia con la potenza di fuoco di una promessa da mantenersi a tutti i costi. Il brutto diffuso, similcittadino, avrebbe sostituito l’estetica rustica del posto, perché solleticava il provincialismo senza fondo di quel mondo estremo. C’erano voluti decenni, ma il salto era stato fatto. Ora l’assetto coerente dell’abitato si era trasformato in un dedalo scomposto, senza un centro, senza un cuore.

Fuori da qualunque ragionevolezza si erano concessi permessi edilizi in zone totalmente abusive. La richiesta era di case grandi, senza badare a spese. Case enormi per contenere il nuovo ego che quella fortezza stava coltivando». Al di là del mare, lontana ma non troppo, c’è l’Italia di un decennio in cui al confronto si è sostituito lo scontro, quello armato, e in cui la televisione ha assunto il ruolo di unica voce autorevole per dire, senza contradittorio, la realtà. Se per Marianna è un inutile ingombro, tanto che di rado la accende, per Mimmìu è una scoperta continua, la finestra aperta su tutto ciò che sta fuori del suo striminzito orizzonte, su uno spazio sconfinato che brama di conoscere per provare a non sentirsi un arnese superato, il reperto di un’era geologica precedente destinato a non rivedere più la superficie. Apprensione comprensibile, ma naturalmente vana: per lui, come per chiunque altro.

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