La Nuova Sardegna

In mostra i guerrieri danzanti di Giovanni Nonnis

di Roberta Sanna
In mostra i guerrieri danzanti di Giovanni Nonnis

A Cagliari ottanta opere dell’artista morto nel 1975, uno dei grandi protagonisti del secondo Novecento in Sardegna 

02 marzo 2018
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«Non c’era un disegno sul polistirolo. Lui andava sicuro e tac-tac-tac incideva col pirografo. Poi dava il colore. I fogli di polistirolo venivano quindi poggiati sulla masonite – talvolta sulla carta o sulla tela – su cui aveva già impresso il colore degli sfondi, e con la pressa otteneva il passaggio del disegno. Si trattava di un’opera unica. A volte utilizzava le stesse figure singole, come alcuni guerrieri, per comporre con più passaggi altre opere. E per dare il senso della tridimensionalità posizionava la stessa matrice per due volte a pochi millimetri di distanza, o interveniva ancora col pennello». La descrizione della tecnica delle matrici di Giovanni Nonnis giunge viva dalle parole di Cecilia, medico endocrinologo, primogenita del pittore nato a Nuoro nel 1929 e scomparso nel 1975. Alle sue opere è dedicata la mostra “La matrice e il segno” inaugurata la scorsa settimana con successo e partecipazione al Palazzo di Città.

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OLTRE LE APPARENZE. «Ho sempre agito perché ritrovasse il posto che gli spetta e continuerò affinché la sua opera possa essere vista e apprezzata per il suo valore». Motiva così Cecilia Nonnis il suo impegno guidato dall’istinto e dagli insegnamenti del padre: la capacità di vedere oltre le apparenze, innanzitutto, e la concretezza. Visitare la mostra accanto a lei è occasione preziosa per avvicinarsi all’uomo, all’artista e alle opere in modo completo, lasciandosi prendere dalla fascinazione del racconto. «Mio padre aveva studio a Cagliari dove era venuto ad abitare, e lo studio principale a Nuoro, nell’ex Biblioteca Sebastiano Satta. Tutti i fine settimana, dal venerdì sera al lunedì, era lì. Si riuniva con una combriccola di persone, cari amici, testimoni di quella Nuoro mitica in cui la cultura si accompagnava a goliardia e allegria, si condividevano le serate con il coro di Nuoro, con il gruppo grotte, con passione e senso dell’umorismo. Molto conosciuto e quotato come pittore, iconoclasta e mangiapreti come molti nuoresi, era apprezzato per la generosità e la simpatia, il carattere allegro e divertente. Spesso mi portava allo studio, con mia sorella e mio fratello, non aveva bisogno di astrazione mentre lavorava. Ci dava matite e colori e noi disegnavamo, giocavamo».

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FOGLI D’ORO. «Lo ricordo benissimo – prosegue – mentre scolpiva il polistirolo, sempre con la sigaretta in un angolo della bocca. Oppure sui monotipi – dipingeva su vetro con i colori ad olio, poi metteva sopra un foglio che assorbiva il colore – o ancora mentre stendeva il foglio oro. A casa c’era una parete dove potevamo fare quello che volevamo, ogni tanto dava una mano di bianco e si rincominciava. Con noi ridiventava bambino. La nostra creatività era assolutamente libera».

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OPERA E MATRICE. In molte delle opere della saga del guerriero nuragico, in basso si notano figure più piccole. «Quelli sono i figli. Siamo noi, ci si riconosce dalla nostra espressione», prosegue Cecilia Nonnis indicando con naturale tenerezza opera e matrice. «Sono dei veri e propri bassorilievi dipinti che hanno tutta la dignità e la potenza di un’opera d’arte a sé», dice delle matrici del titolo della mostra curata da Paola Mura, direttrice dei Musei Civici. «È stata lei a propormi una nuova esposizione e le ho parlato della mia idea di esporre le matrici. Così abbiamo fatto qualcosa di completamente diverso dalla mostra del 1994, c’è un’altra lettura, che mette in luce i riferimenti alle radici e alla tradizione, anche con l’eccezionale presenza del bronzetto con quattro occhi e quattro braccia concesso dal Museo Archeologico, trasposto in un’opera da mio padre».

LA RISCOPERTA. Nel 1993, dopo vent’anni di silenzio, Cecilia Nonnis con lucidità e determinazione aveva ottenuto dall’Electa la pubblicazione di un catalogo su Giovanni Nonnis, prestigioso impulso per la mostra del 1994 nelle Gallerie Comunali di Cagliari e Nuoro. Si compiva così quel “risarcimento storiografico” dovuto – come scrisse Placido Cherchi, estimatore di Nonnis fin dall’inizio – a un artista non allineato, il cui riferirsi a radici e tradizioni veniva scambiato per un eccesso di nativismo. «Quella mostra ebbe un successo strepitoso – ricorda Cecilia – Sembrava che mio padre fosse morto il giorno prima. C’erano tutti, un mondo che lo conosceva e apprezzava non solo come artista. A Nuoro si vide la partecipazione di esponenti della cultura, della legge e della politica. Mio padre aveva ripreso il posto che aveva prima di morire, era tornato nella memoria di tutti».

«Se si fosse stati più attenti il filo di lettura sulla sua opera c’era anche prima – aggiunge – Non faceva altro che ciò che Picasso aveva fatto con l’arte africana e Modigliani con quella cicladica. Cioè attingeva all’arte primitiva della sua terra, per riproporre con un linguaggio moderno i motivi di origine bizantina o arabo-islamica che vediamo in tappeti e cassapanche, fino a il bronzetto nuragico, nella saga del guerriero». «Alla fine ha avuto ragione lui», conclude sorridendo.

LA TELEFONATA DI SGARBI. «A più di 40 anni dalla sua morte – spiega ancora Cecilia – è di un’attualità strabiliante, e con Nivola e Fancello è considerato uno dei fondatori dell’arte moderna sarda. Mi sembrava di aver ottenuto il massimo nel 1994, ma ho deciso di ripartire con qualcosa di nuovo, prima a Cagliari e Nuoro, dove probabilmente andrà la mostra. C’è un interesse nazionale, mi ha chiamato Vittorio Sgarbi, estimatore di mio padre. Oggi la lettura di un certo tipo di arte è più facile, e quella dell’opera di Giovanni Nonnis è in perfetto sincrono con i tempi».


 

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