La Nuova Sardegna

Amore e malavita nel ghetto Singer svela la Varsavia nera

di Paolo Petroni
Amore e malavita nel ghetto Singer svela la Varsavia nera

In “Keila la rossa” il Nobel di lingua jiddish racconta il mondo oscuro del quartiere ebreo Il libro descrive senza edulcorazioni il bene e il male della comunità perseguitata

03 marzo 2018
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«Nei canali di scolo mulinavano acque torbide che correvano verso la Vistola. Il fiume raccoglieva tutto e lo riversava in mare, rimanendo puro e limpido» e così appaiono un po’ i protagonisti di “Keila la rossa” (Adelphi, 280 pagine, 20 euro, traduzione di Marina Morpurgo), romanzo di Isaac B. Singer pubblicato per la prima volta in assoluto, e in particolare la bella Keyla, donna dei bassifondi, prostituta che frequenta la malavita di Varsavia, ma con una voglia e un impegno continuo nel tentativo vano di un riscatto, visto che poi ognuno si ritrova sempre solo con se stesso e come in fuga, anche in senso esistenziale.

Il romanzo è ricco e avvincente e ci trasporta dai vicoli fangosi, miseri e brulicanti di vita del quartiere ebraico di Varsavia all’America e New York raccontandoci avventure umane più che un succedersi di fatti eclatanti, umani sforzi per liberarsi delle proprie origini e la difficoltà quasi impossibile di cambiare, avendo il mondo contro. Il tutto con quella prosa ricca, compatta, senza divagazioni e ricchissima di dialoghi propria di questo autore che nel 1978 fu insignito del premio Nobel. Alle turbinose vicende dei quattro protagonisti (e dei numerosi, pittoreschi comprimari) fa da sfondo, all'inizio, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante del ghetto in cui era confinata, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia, e poi quella, non meno miserabile e caotica, delle strade di New York.

Era l’anno in cui “Keyla” avrebbe dovuto essere pubblicata in volume, dopo essere uscita a puntate su “Forvets”, il quotidiano yiddish di New York, ma il suo contenuto scandaloso, la vitalità, il sesso e la descrizione di un mondo ebraico nero, quello della via Krochmalna, fecero sì che l’autore mettesse da parte questo romanzo. Un libro che mostra senza edulcorazioni come anche nelle comunità ebraiche ci fosse il bene e il male, raccontando per esempio della tratta delle giovani ragazze illuse e convinte a lasciare gli shtetl, i villaggi ebraici dell’Europa orientale per mandarle e costringerle a prostituirsi in America del sud.

Assieme parla però delle proteste anarco-socialiste, di ideali per cui lottare, e soprattutto dell'amore, la passione per cui si perde la testa, che può appunto facilmente perdere una persona più che darle la forza per rinnovare tutto, e parla dei piaceri del sesso, con personaggi trentenni ebrei che vanno a letto sia con donne sia con uomini, o che vivono in tre, Yarme, marito di Keyla di professione ladro, e Max lo storpio, che in tempi diversi ha fatto l’amore con l’uno e con l’altra. Questo sino all’incontro della donna con il giovanissimo studente figlio di un rabbino, Bunem, che mal sopporta il rigore religioso famigliare, che ha velleità artistiche di pittore e che viene travolto dalla scoperta del sesso con Keyla, che lo finanzia e lo aiuta ad organizzare la fuga dalla Polonia, anche in seguito ad alcuni problemi per cui lui ritiene di esser ricercato dalla polizia. Ma ogni fuga è illusoria e egualmente misera, umiliante e faticosa, quando non pericolosa e che fa sentire stranieri e spaesati, per la vita degli immigrati in America, che Singer racconta con non meno forza e vitale, avvincente realismo.

Anche se questa edizione italiana è fatta sulla traduzione inglese dello stesso Singer o di suo figlio, l’originale, di cui resta tutto il sapore, è scritto in yiddish: «Lo yiddish riflette Bunem, condivideva il destino di Keyla: era oggetto di disprezzo ma anche di desiderio. Lo accusavano di essere volgare, ma molti secoli prima non si era detta la stessa cosa dell'italiano, del francese, dell’inglese, del russo, del tedesco?».

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