La Nuova Sardegna

Loredana Rosenkranz: «Restiamo in guardia il patriarcato c’è ancora»

Loredana Rosenkranz: «Restiamo in guardia il patriarcato c’è ancora»

SASSARI. «Contro l’immagine dominante di una Sardegna tagliata fuori dal flusso delle idee di rottura e cambiamento che contagiarono il mondo intero, si delinea un’isola-laboratorio in cui, anche...

03 marzo 2018
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SASSARI. «Contro l’immagine dominante di una Sardegna tagliata fuori dal flusso delle idee di rottura e cambiamento che contagiarono il mondo intero, si delinea un’isola-laboratorio in cui, anche nella seconda metà degli anni Settanta, il “riflusso” è contrastato da una persistente volontà partecipativa e oppositiva». Quanto fu importante il femminismo nell’isola è descritto bene in queste note di copertina tratte dal libro “I movimenti degli anni Settanta fra Sardegna e Continente” (Condaghes), curato da Federico Francioni e Loredana Rosenkranz, e dedicato all’attivista Riccardo Lay, prematuramente scomparso.

Rosenkfranz, che abitò gli anni del Sessantotto tra Sassari (la sua città) e Cagliari (dove si laureò in Filosofia con una tesi in Antropologia culturale), proseguì il suo impegno politico in formazioni della nuova sinistra, nella Cgil e nel movimento delle donne. Era quella che si chiamava “doppia militanza”. «Alla metà degli anni Settanta – racconta lei stessa nel libro, citando Maria Luisa Boccia – a Sassari il collettivo femminista preferiva all’immersione nel movimento universitario il terreno dell’autonomia politica e della socialità femminile. Gli incontri avvenivano nello spazio privato delle case, dove ciascuna poteva prendere la parola davanti alle altre e dar corpo alla pratica dell’autocoscienza. Si compiva a piccoli passi, e non senza lacerazioni per alcune, un percorso di distacco dall’impianto ideologico proprio dei gruppi di sinistra».

Ma il patriarcato esiste ancora? Mettendo da parte i ricordi Loredana Rosenkranz risponde parlando del presente. «Il documento “Abbiamo un piano”, steso da un ricco aggregato di associazioni che fanno capo a “Non Una Di Meno” per l’otto marzo di quest’anno ci avvisa che, nell’epoca che si schiude al transfemminismo, il genere si svela sempre più chiaramente come costruzione sociale, dipendente dal sistema di potere che controlla i corpi e che li addomestica, con più o meno violenza, all’ordine patriarcale, ancora non sconfitto, come invece il tardo femminismo della fine del secondo millennio si era affrettato a sperare. La questione della violenza di genere è fatto sistemico, assume diverse forme espressive delle quali i femminicidi non sono che la punta dell’iceberg e tocca tutti gli ambiti delle nostre vite, di donne e uomini». (a.m.)

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