La Nuova Sardegna

Un grande critico con un cuore sardo

di Paolo Curreli
Un grande critico con un cuore sardo

Aveva 107 anni. Da Francesco Giuseppe allo smartphone con lo sguardo sempre al futuro

03 marzo 2018
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SASSARI. L’anno in cui Gillo Dorfles nasceva, il 1910, Boccioni dava le ultime pennellate alla “Città che sale, Modigliani raccoglieva il suo primo successo al Salon d’Automne, Picasso si dedicava anima e corpo al cubismo con “La ragazza col mandolino” e la “Donna seduta” (solo tre anni prima aveva presentato “Les damoiselle d’Avignon”, cambiando l’arte e il modo di guardare per sempre). L’Europa era ancora immersa nei confini che la Grande guerra avrebbe stravolto. Trieste, la città dove Gillo Dorfles apriva per la prima volta il suo sguardo fulminate sul mondo, faceva parte dell’Impero austro ungarico.

Dati cronologici per capire meglio cosa gli occhi del critico d’arte e pittore (ma laureato in medicina), esploratore del senso delle immagini, hanno visto e analizzato prima di chiudersi per sempre, ieri a Milano, al bel traguardo di 107 anni compiuti il 17 di aprile. Ampiamente più di un secolo vissuto sempre con la straordinaria lucidità che gli ha permesso di inoltrarsi – da assoluto esploratore e originale interprete – nel mondo della filosofia e dell’arte, dell’architettura, della moda e della musica e, infine, all’alchimia presentando a metà gennaio alla Triennale una personale dedicata ai disegni realizzati tra il 2010 e il 2016, firmati col nome alchimistico di Vitriol. Una produzione sterminata di saggi tutti fondamentali, come le tante monografie d’artisti e “Il Kitsch, antologia del cattivo gusto” (1968), libro diventato un cult, tanto che la Triennale gli ha dedicato una mostra nel 2012, a 45 anni dalla pubblicazione. Uno sguardo sempre rivolto al futuro: «Ho dimenticato metà secolo e sto dimenticando l’altra metà perché voglio vivere nel futuro», rispondeva a chi gli ricordava l’età. Gillo Dorfles giunse in Sardegna come professore straordinario alla facoltà di Magistero di Cagliari nel 1969 e venne poi nominato ordinario di Estetica nel 1972 e prestò servizio fino al 1974. Anni intensi che Dorfles ricordò nella cerimonia per la Laurea ad honorem che l’Università cagliaritana gli conferì nel 2012. «Anni dedicati più alla bellezza di questa isola che all’Estetica» disse. Un amore che non sopportava la mercificazione. «Il mio rapporto con quest’isola non è legato alla Costa Smeralda, ma di posti come Orani e Bitti e i suoi meravigliosi terrazzini di ferro istoriato – aveva detto –. E poi Oristano. Essere sardi è un fatto molto peculiare. Siatene fieri. Questa non è una provincia dell’Italia ma un piccolo continente. Sono contrario alla globalizzazione. Vi immaginate una Sartiglia trasferita da qualche altra parte – concluse – o le sebadas fabbricate a New York? Che tristezza».

Anni in cui formò tanti giovani e conobbe Pinuccio Sciola, con cui ebbe un’amicizia profonda. Proprio le parole che Dorfles scrisse per la presentazione della mostra di Sciola nella Basilica di San Francesco ad Assisi nel 2003 hanno svelato più di altre la poetica dello scultore di San Sperate: «Le pietre sonore di Pinuccio Sciola hanno il potere di suscitare in noi l’equivalente d’un evento sacro; o almeno di un evento dove il fattore simbolico s’incarna in un’opera che – prima di essere dell’uomo – è del creato (o, forse, del Creatore)».

Pinuccio Sciola ricambiò nel 2010 dedicandogli una grande Pietra sonora nel giardino della Triennale a Milano. La Sardegna era ricordata ogni giorno a tavola da Gillo Dorfles col rito del bicchiere di cannonau. «Lo amava molto – ricorda l’architetto Gabriele Schirru, collaboratore di Pinuccio Sciola –. Per il centesimo compleanno andammo alla cantina di Jerzu con Pinuccio per comprare cento bottiglie che gli portammo a Milano».

E il critico fu così contento che ringraziò con alcune frasi che furono una grande pubblicità: «Col cannonau di Jerzu si vive 100 anni... con intelligenza». Nell’ultima intervista a Cazzullo sul Corriere della Sera a febbraio disse: «Ho una passione per il cannonau. Una volta lo dissi in tv e vari produttori mi mandarono una cinquantina di bottiglie. Poi purtroppo hanno smesso». Una dichiarazione che non è sfuggita all’associazione “La strada del vino Cannonau”: «Non c’è problema, glielo mandiamo noi. Non potremmo avere testimonial migliore» aveva dichiarato qualche settimana fa alla Nuova il presidente dell’associazione Lino Fancello.

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