La Nuova Sardegna

L’estremo delle cose La Sardegna raccontata tra giallo e metafisica

di Alessandro Marongiu
L’estremo delle cose La Sardegna raccontata tra giallo e metafisica

Venerdì in edicola“Morire per una notte” di Giorgio Todde Col giornale il settimo volume di “Scrittori di Sardegna”

13 marzo 2018
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Quando nel 2001 esce per Il Maestrale “Lo stato delle anime”, Giorgio Todde tutto sembra meno che un esordiente: e questo sia per la padronanza di uno stile che da subito mostra una cifra sua propria, che per l’intuizione di reinventare in forma di personaggio letterario Efisio Marini, medico pietrificatore realmente esistito che nel corso del diciannovesimo secolo conobbe fama in tutta Europa grazie all’arte, assolutamente unica, di restituire plasticità ai cadaveri e renderli molto più simili a dei dormienti che non a dei defunti – in tutta Europa, beninteso, conobbe fama, meno che nel luogo in cui era nato e in cui sperò invano di ottenere i giusti riconoscimenti accademici, ovvero Cagliari.

Scrive Sergio Pent sul Tuttolibri de La Stampa che «sulla scia di un romanzo verista venuto fuori dal passato», l'autore «costruisce una trama che è soprattutto un omaggio antropologico alla sua terra», confermando poi quanto le alte aspirazioni trovino corrispondenza nella pagina scritta. Il fulcro, al di là della vicenda delittuosa che vi viene raccontata, è la caratterizzazione del protagonista: come fosse un epigono del Dottor Jekyll e del suo contraltare mostruoso Hyde, l’irresistibile Efisio Marini di Todde è scisso tra una solida formazione scientifica e un lato puerile che non sa tenere a bada, ed è spesso indisponente quando sciorina, saccente, il suo sapere, pur sentendosi comunque sempre in competizione con qualcuno, ciò che ne lascia intuire una certa insicurezza di fondo. Non sorprende che a “Lo stato delle anime” vengano assegnati due premi per l’opera prima, il Rhegium Julii e il Giuseppe Berto, e non sorprende nemmeno che da quel seme iniziale origini una serie di cinque titoli complessivi tutti ascrivibili al genere del giallo, in cui a Marini spetta il ruolo di investigatore e di cui fanno parte, oltre al debutto, “Paura e carne”, “L’occhiata letale”, “E quale amor non cambia” e “L’estremo delle cose”, pubblicati in coedizione tra Il Maestrale e Frassinelli tra il 2002 e il 2007. Fin dal 2002, però, Todde scrive anche dei gialli di natura diversa che, calati in una dimensione definita “metafisica” ed “esistenziale”, usano i tratti distintivi della narrativa d’indagine per dir altro che non siano solo storie di crimine, investigazione e soluzione. Il primo è “La matta bestialità”, che Giuseppe Traina recensisce su “L’Indice dei libri del mese” ritenendolo «eccellente, assai divertente, scritto benissimo, con una patina d'ironia affettuosa che si stende su una scrittura colta ma non esibizionistica, che non si perita di parodiare “Il nome della rosa”»; il secondo, ugualmente bello e ricco d’invenzioni e figure dai quali è quasi naturale restare incantati, è “Al caffè del silenzio” del 2007; l’ultimo per ora è “Ero quel che sei”, di tre anni successivo, nuova e profondamente rielaborata versione di “Ei” del 2004.

Nel 2009 è la volta di “Dieci gocce” (Frassinelli), romanzo che devia dalla doppia linea tracciata sin qui, incentrato su un uomo dei nostri tempi, Mario, intrappolato in una gabbia di ansia e di angosce che gli rende impossibile vivere una vita serena. Il solo rimedio cui fa ricorso sono, appunto, le dieci gocce che assume con gran frequenza: e non è detto che per lui saranno sufficienti. Con “Lettera ultima” del 2013 (Rizzoli, in collaborazione con Il Maestrale), Todde aggiunge un ulteriore tassello alla sua produzione “metafisica” ed “esistenziale”. Il presunto suicidio di Pambìra porta all’istituzione di un processo che si svolge tutto nella palazzina in cui la giovane abitava, tra il piano terra in cui agisce la difesa degli accusati e l’attico in cui dimora il temibile magistrato in pensione Cocco Mossa. Alla verità sui fatti arriverà un occhio esterno all’edificio-corte.

Del 2016 è “Morire per una notte” (Il Maestrale), che i lettori de La Nuova troveranno in edicola venerdì per il settimo appuntamento della collana “Scrittori di Sardegna”. Con il suo tocco magnificamente evocativo, Todde racconta del tentativo francese di conquistare la Sardegna tra la fine del 1792 e l’inizio del 1793, concentrandosi su quanto avvenne nel sud dell’isola. Su un fronte i transalpini ai comandi dell’ammiraglio Truguet, su quello opposto, nella Cagliari protetta dalle sue fortificazioni, un nugolo di personaggi ognuno con un’idea personale circa il modo di affrontare il nemico.

Bisogna infine dar conto di un Todde, per così dire, “altro”, che tale però è solo a uno sguardo superficiale. È quello che attraverso la scrittura prova a incidere sul presente in maniera diretta, senza mediazioni retoriche; è il Todde dei tanti articoli usciti su La Nuova Sardegna, parte dei quali è raccolta in “Il noce” del 2010, che si batte per la salvaguardia dell’ambiente e del territorio regionali, e che denuncia le folli politiche e i danni, anche antropologici e culturali, dello “sviluppismo” e del “metrocubismo”: «Noi siamo lo spazio che occupiamo e il nostro corpo, spirito compreso, soffre oppure è contento secondo quello che lo circonda. E se si modifica lo spazio, si modifica il corpo. Così corpo e spazio finiscono per rassomigliarsi più del cane al padrone. E se lo spazio nel quale ci muoviamo si ammala, ci ammaliamo anche noi».



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