La Nuova Sardegna

La chimica dell’amore, una forza assoluta che regge l’universo

di Costantino Cossu
La chimica dell’amore, una forza assoluta che regge l’universo

Nella collana Scrittori di Sardegna “Morire per una notte”. Il romanzo di Giorgio Todde tra Storia e travolgenti passioni

14 marzo 2018
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Tutta la parte iniziale (l’Atto I) di “Morire per una notte”, il romanzo di Giorgio Todde che da venerdì andrà in edicola per la collana “Scrittori sardi contemporanei” della Nuova, è occupata dal racconto dell’assedio francese a Cagliari nel 1793. È il quadro di una nobiltà gretta e cialtrona arroccata nel Castello e di una plebe asservita che trascina nei bassi della città una vita miserabile.

Classi dirigenti mediocri e un popolo senza voce. Una costante della storia della Sardegna, sino ai nostri giorni?
«Beh, l’assedio francese ha rappresentato l’obbligo dell’intera società isolana di confrontarsi di colpo e con violenza con le correnti grandi della storia dalla quale la Sardegna, però, non era certo fuori. L’idea che l’isola vivesse lontano dalla storia è una banalità cronica, ricorrente. Tanto banale che un giorno di gennaio nel golfo di Cagliari appare la flotta rivoluzionaria francese… uno spavento indimenticabile. Più dentro la storia di così! Ma la comunità – che era una comunità reazionaria – resiste a tre giorni di bombardamenti, organizza un’opposizione allo sbarco, combatte sino a che la flotta, anche a causa di una tempesta, lascia perdere lo sbarco e l’idea di dominio sull’isola. Senza quella sciroccata magari oggi saremmo francesi. Due anni dopo l’assedio la storia continua con la vicenda misteriosa di Angioy che parte per Sassari in rappresentanza del viceré per sedare moti rivoluzionari e poi, durante questa ascesa, muta radicalmente, diventa rivoluzionario. Il viceré gli manda contro i dragoni e lui fugge. Le modalità profonde di questo cambiamento polare non le conosciamo, ma è una vicenda fascinosa. Cosa sia accaduto durante l’ascesa verso il Capo di sopra è un mistero. Certo, non c’era una grande nobiltà nell’isola e neppure una grande borghesia, la struttura sociale era feudale. E di questo, siccome la memoria storica è incancellabile, si vedono i segni anche nella comunità isolana di oggi dove sopravvivono sacche di atavico feudalesimo come nella cena del libro alla tavola degli Aymerich, dove la rivoluzione conclude il suo giro. Quella cena si ripete identica oggi».

Ma dietro lo scenario storico in “Morire per una notte” emerge altro. Le cure e le pene di ciascun personaggio si sporgono su un vuoto di senso al quale ciascuno degli attori reagisce con strategie esistenziali differenti.
«La vicenda di Galatea Ruju, Girolamo Pitzolo e Joseph Nièpce è immaginaria ed è una metafora dell’esistenza in una società chiusa, fissa, addirittura tutta dentro una città murata e asfissiante. L’amore fulmineo di Galatea e Joseph è la rappresentazione di un amore che si conserva intatto senza necessità di vicinanza, senza attaccamenti morbosi, senza interessi e contratti. Galatea si mura e si libera da sola, triste e felice, rifugiata dentro un ricordo analgesico. In fin dei conti riconosce che nulla è meno effimero della perfezione di quella notte e che l’energia liberata da lei e Joseph in una notte è eterna e in giro per il cosmo in altre forme».

Alla giovanile fede nella Verità, nella Rivoluzione, Joseph, il protagonista, sostituisce la fede in un atto minimo, quello che gli consente di usare la luce per fermare il corso dei fatti, per vincere la paura del nulla.
«Joseph Nièpce è il reale inventore della fotografia ed è vero che in una lettera racconta che l’idea di fermare un’immagine per sempre su una lastra gli era venuta durante l’assedio dell’isola al quale aveva partecipato con il fratello Claude. Un’idea più rivoluzionaria della rivoluzione, forse. Così come è vero che lui a Cagliari tornò anni dopo l’assedio. L’idea e la realizzazione furono geniali. Lui diventò poi socio di Daguerre però morì presto. Così Daguerre raccolse la gran parte della gloria e diventò accademico di Francia. La fede nella chimica e nella sua infinita capacità ricombinatoria era, appunto, una fede, la sua religione. La chimica è il cosmo, il principio vitale. Il creato è una quantità eternamente uguale di energia e l’energia è Dio. E un apice di questo insieme atomico è per Galatea e Joseph l’innamoramento, una forza esterna e sovrumana che impressiona le loro vite come la luce sulla lastra fotografica».

Di fronte a un tramonto di sangue (la morte del giorno), nell’Epilogo il narratore di “Morire per una notte” annaspa, prende le sue gocce contro il panico ma, come Galatea e Joseph, non sfugge al tempo, alle conseguenze delle azioni compiute. Continua a cercare un senso. E in questo ostinato resistere, se Joseph utilizzava la luce il narratore usa invece lo strumento altrettanto fragile della scrittura. Scrivere, come fotografare, è fermare il mondo, uscirne fuori pur restando ad esso inesorabilmente legati e cercare così un segmento d’infinito?
«Gocce contro il panico di fronte alla percezione dell’infinito che è l’opposto dell’io. L’io tremante davanti all’infinito. Certo, è esattamente questo. E’ una certa idea dell’amore come consumazione di un atto assoluto che genera il panico proprio perché assoluto e dunque incompatibile con la serenità. E anche azioni che aspirano alla lunga durata, come fotografare o scrivere, generano panico nonostante simulino un ordine definitivo. Forse è anche l’idea del definitivo a generare angosce. Fatto sta che quell’ordine è forse il massimo disordine. E l’amor folle è invece espressione del massimo ordine. Tutt’e due generano paura».

In un passaggio storico complicato come quello attuale, c’è chi richiama gli intellettuali a un impegno più coraggioso e coerente. Che ne pensi?
«Che non ho chiaro chi siano gli intellettuali e che quindi non so rispondere. Però, forse, chi usa l’intelletto non può fare a meno di esercitare lo spirito critico mentre si guarda intorno e anche oltre. Un’azione di salute pubblica che non tutti compiamo con la dovuta costanza è proprio questa: l’esercizio delle nostre capacità critica. Ecco, mi curerei di farla crescere un pezzettino in più ogni giorno».

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