La Nuova Sardegna

Il sogno di Feltrinelli: la Sardegna come Cuba

di Fabio Canessa
Il sogno di Feltrinelli: la Sardegna come Cuba

Il film di Marco Poloni che ricostruisce i rapporti dell’editore milanese con l’isola

17 marzo 2018
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Una Citroen Ds, l’auto di Giangiacomo Feltrinelli. Uno “squalo”, così veniva soprannominata, sulla quale viaggiano per tutta l’isola la regista Antonia (l’attrice Alessandra Roca), l’antropologa Eleonora (interpretata da Laura Pizzirani) e il loro amico sardo Giuliano (l’attore Fausto Siddi). Le due donne sono arrivate in Sardegna con l’idea di riprendere degli appunti visivi per un futuro film sul tentativo dell’editore guevarista di trasformare l’isola, alla fine degli anni Sessanta, in una Cuba del Mediterraneo. Un luogo, ideale secondo Feltrinelli, per far nascere un fuoco rivoluzionario e preparare una guerriglia anche contro il pericolo di una svolta militare in Italia dopo il golpe dei colonnelli in Grecia. Da qui parte “Una Cuba mediterranea” presentato in anteprima all’Accademia di Belle Arti a Sassari. Un film di Marco Poloni che partendo da un’analisi storica, va a toccare diversi discorsi sviluppandosi in una meditazione antropologica sulla servitù, l’autonomismo, la condizione di insularità. Un lavoro sicuramente molto particolare, a cominciare dalla scelta di utilizzare tre diversi supporti: due tipi di pellicola diversi, otto e sedici millimetri, e il digitale.

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«Dietro questa idea – spiega Poloni, regista e fotografo italo-svizzero – c’era anche la volontà di creare un’ambiguità temporale con le immagini. Così non ci sono molti riferimenti alla contemporaneità, le due ragazze sono vestite in modo un po’ fricchettone, c’è il modello di Citroen che usava Feltrinelli. Ci siamo però accorti che tutto diventava troppo romantico con la pellicola ed è lì che abbiamo introdotto il digitale. Per rompere, spiazzare lo spettatore. Da immagini che sembrano del passato, di colpo si trova quelle del turismo di oggi. A livello concettuale c’è anche il pensiero che le idee vanno al di là di determinazioni storiche, che l’idea di rivoluzione presenta una continuità e si riconfigura in ogni epoca».

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Aveva già utilizzato formati diversi in altri film?
«È la prima volta in un film, ma si può dire che questa scelta rifletta un metodo. Lavoro molto a costellazioni, anche questo sulla Sardegna comprende fotografie, testi e rientra in un insieme di casi di studio dove prendo degli elementi storici che trasformo, da artista, in poesia visiva. E ogni entità estetica autonoma entra in rapporto con le altre producendo complessità. Così è concepito il film, come un insieme di isole che entrano in risonanza tra loro».

Per scrivere la sceneggiatura da dove è partito?
«Dal percorso di Feltrinelli in Sardegna, sul quale però c’è veramente poco. Siamo andati a Milano con Pier Paolo Lisi, che mi ha aiutato nella ricerca storica e nella scrittura, per cercare di intervistare Carlo, il figlio di Feltrinelli. Ma non ci ha dato una grande mano. Ci siamo trovati davanti a un vuoto e da lì è partita la scrittura. Mi è sembrato importante introdurre degli argomenti trasversali, c’è per esempio tutto un discorso su cos’è l’entità e l’identità mediterranea, sul turismo, sull’autonomia italiana dai cartelli petroliferi americani, quindi l’avventura di Enrico Mattei. E poi sono stati anche certi luoghi che ci hanno orientati in alcune parti narrative, la sceneggiatura si è completata in contemporanea con la ricerca delle location. Così per esempio le antenne che sono state riprese sul monte Limbara hanno portato al discorso di Radio Gap, la formazione clandestina di Feltrinelli».

Oltre il territorio, anche gli attori hanno inciso in qualche modo sulla sceneggiatura?
«La sera prima delle riprese con gli interpreti si discuteva e sono venuti fuori dei cambiamenti, per certe frasi. Mi piaceva quest’idea di partecipazione e la scrittura è stata così modificata quando necessario. Devo anche dire che le scene dialogate erano molto più lunghe, ma al montaggio abbiamo deciso che in alcuni passaggi non si poteva chiedere allo spettatore un’attenzione così duratura».

Ma come sono stati scelti i luoghi dove girare?
«Soprattutto per il rapporto con la storia della Sardegna: Orgosolo, le miniere di Buggerru, Sarroch. Location interessanti per darci un’idea geopolitica dell’isola. Che è un personaggio a tutti gli effetti. Perché questo non è un film su Feltrinelli. Parte da lui, ma l’argomento che lo riguarda si esaurisce presto. Stando sull’isola le ragazze capiscono che la sua tesi insurrezionale non era fondata ed è lì che subentra l’isola, come un’entità che prende possesso dei personaggi i quali forse capiscono, in maniera inconscia, che la storia non si scrive solo con le ideologie».

Che ruolo ha il personaggio sardo in questo discorso?
«C’è un confronto tra le visioni romantiche delle due ragazze e il sardo più disilluso. Le continentali arrivano con la loro arroganza intellettuale e si scontrano con lui che rompe le loro idee preconcette e le rende attente al fatto che ci sono determinazioni più sottili, più complesse. Il contatto con il territorio, la storia, la gente».

Le stronca continuamente, però non offre una visione alternativa.
«Fa tabula rosa e a partire da lì forse c’è la possibilità che nuove narrazioni, altre storicizzazioni subentrino. Ma certo dare risposte è più difficile e dal mio punto di vista c’era il pericolo di arrivare a un film a tesi. Come artista mi interessa soprattutto porre domande».

Non c’è così il rischio di affrontare troppi e importanti temi in modo un po’ superficiale?
«Non faccio cinema documentario e da artista la mia impostazione mentale è diversa da quella da regista. Volevo evitare lo scoglio della narrazione a tesi o che propone una soluzione troppo deterministica delle cose. Gli eventi storici non sono ridiscussi nel film in relazione diretta alla Sardegna di oggi. Ciò che si può leggere non c’è bisogno di rappresentarlo visivamente. Ci sono libri per trovare informazioni. Così se per esempio il film porta a interessarsi alla questione pastorale, uno dopo può approfondire andando in biblioteca. Poi il film fa parte di un insieme di lavori, dove certi argomenti trovano più spazio nel dettaglio in fotografie, testi, pamphlet».

Lavori che spesso riguardano il Mediterraneo. Da dove nasce questo specifico interesse?
«Da sempre mi interessa il Mediterraneo ed è da un certo punto di vista anche un modo per circoscrivere una ricerca. Ma più esploro più mi incuriosisce, ci sono tutte queste articolazioni sempre più nascoste. Ho studiato per due anni la Sicilia, l’impatto della mafia sul territorio, le incompiute, però la Sardegna è più complessa, le cose sono più da scoprire e questo aspetto mi affascina molto. L’isola mi attrae inconsciamente. A livello conscio posso invece dire è come un oggetto circoscritto geograficamente che permette di compiere un’analisi forse estensibile a delle entità più larghe, che può portare al di là di una formazione chiusa topologicamente».

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