La Nuova Sardegna

La scrittura come sfida per raccontare l’isola che cambia

di Costantino Cossu
La scrittura come sfida per raccontare l’isola che cambia

Nella collana Scrittori di Sardegna “Pesi leggeri” il romanzo di Tanchis nella Cagliari delle palestre di boxe

21 marzo 2018
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«Pesi leggeri», il romanzo di Aldo Tanchis che da venerdì sarà in edicola per la collana della Nuova “Scrittori di sardegna”, esplora l’universo metropolitano di Cagliari. Una scelta che quando il libro è uscito, nel 2001 per Il Maestrale, non era per niente scontata, visto il panorama della produzione degli scrittori sardi.

Perché quella scelta?

«Come romanzo, “Pesi leggeri” germinò dalla sceneggiatura del film diretto da Enrico Pau. La scelta, fatta insieme a lui, era quella di voler mostrare in un film una Sardegna metropolitana, credo sino ad allora inedita nella cinematografia. La storia continuò però a ronzarmi in testa, i vari personaggi continuavano a evolvere, e così decisi di andare avanti, modificando la storia, eliminando alcune figure ma senza cambiarne il teatro, che rimase Cagliari, salvo una breve puntata oristanese e ricordi d’infanzia del protagonista, probabilmente costerino. C’è anche qualche riflesso milanese: ai tempi sugli autobus cagliaritani non credo s’incontrassero venditori di rose extracomunitari, ma avevo bisogno di un’equiparazione tra il più leggero fra i pesi leggeri, Perso, e i suoi colleghi immigrati o rifugiati. Fu comunque una scelta con una punta polemica verso la sbornia di identitarismo che a parer mio nasconde la scarsa capacità di riflettere su noi stessi».

Il suo interesse per il cinema deriva anche dal suo originario interesse per le arti visive applicate?

«Sono laureato in Storia dell’arte, appassionato di avanguardie storiche, faccio parte di “Arteologicamente trio”, una pagina Facebook sulla quale con Cicci Borghi e Enrico Pau riproponiamo le nostre creatività di anni fa e ne proponiamo di nuove. Le mie stesse poesie diventano spesso “Typoesie”, un po’ come i “calligrammes” di Apollinaire. Di recente ho diretto un video, “Ciò che la notte è per gli occhi”, sul lavoro di Giovanni Giannarelli, che fotografa le cave di marmo di Carrara alla sola luce della luna. Sono sempre stato attratto dalle immagini generate in noi dal processo della lettura. Ho creato un festival a Oristano che si chiamava Letture/Visioni. Eppure sono un fanatico dell’importanza della singola parola. Occorrerebbe sempre ricordare che la parola è qualcosa di molto complesso: concetto ma anche suono e anche immagine. “Nos, Eleonora” invece è un breve video su Eleonora d’Arborea, in particolare sull’articolo della Carta de Logu dedicato alla violenza sulle donne, diretto e musicato da Nicola Urru, che lavora per la Scala, e interpretato da Caludia Colledel, che della Scala è stata una ballerina».

Musica e teatro nell’ operetta “Il brutto anatroccolo” musicata da Giorgio Gaslini, con Paolo Fresu, Maria Pia De Vito e l’Orchestra Jazz della Sardegna nel 1997. Ancora un incrocio tra linguaggi, tra codici espressivi differenti…

«Bellissima esperienza. Per fortuna sono rimasti dei cd e dvd a ricordarla. Se da ragazzo mi avessero detto che avrei scritto una canzone per Giorgio Gaslini, non ci avrei creduto. Adoro scrivere canzoni ma è capitato raramente. Nel film Pesi Leggeri ne ho firmate tre, interpretate da Rossella Faa».

E poi ci sono le sue raccolte di versi: “La vita tiepida” e “Funus”. Che cosa l’ha spinta a sperimentare anche la scrittura poetica?

«Dovessi scegliere, scriverei solo versi. Ogni parola è viva, un animaletto, e metterle in fila con le altre vuol dire far convivere in uno spazio ristretto tante anime. Vale per ogni tipo di scrittura ma nella poesia – perlomeno nella mia, che è lirico-narrativa – è tutto molto più concentrato. Lo scopo ultimo, per me, è quello di diventare parola, come in un processo alchemico. Credo che la prossima raccolta si chiamerà “Il popolo delle parole”. “Funus” è una piccolissima raccolta germinata dal lutto per la morte di mia sorella Lavinia. Un’esperienza violenta per me, che si è trasformata in esperienza estetica, in parole. Chiesi a Cicci Borghi di poterla illustrare con la sua scritttura di non vedente, che somiglia al fumo di una pira funebre. Ecco il senso della trasformazione di se stessi, e del mondo, in parole. Purtroppo si confonde la poesia con il sentimento o il sentimentalismo. Il sentimento è l’anti-poesia. Pensa che qualche amico s’imbarazza a leggere i miei versi, manco mi stesse spiando dal buco della serratura».

Di mestiere lei fa il pubblicitario. Un lavoro creativo che ha una connessione strettissima, ineliminabile, con l’economia, con il mercato. Poi sei scrittore e poeta. Tra i due universi c’è un ponte, una connessione?

«Scrivo versi ma sono bravino anche con i fogli excel. Sono un piccolo imprenditore, come tanti altri scrittori e poeti. La scrittura, la poesia non sono separate dal mondo, nascono dove qualcuno le vede. Però l’esperienza d’imprenditore oggi per me si lega alla nuova avventura che ho intrapreso insieme a Roberto Casalini, un altro sardo-milanese. Si chiama “1000eunanotte”, casa editrice che sta esordendo in questi giorni, anche con autori sardi. Ma di questo spero che parleremo a breve».

Lei vive a Milano. Da lì comele sembra la realtà sarda di oggi?

«Quando lasciai la Sardegna un’amica mi regalò due vasetti di vetro. In una c’era l’etichetta “Fregolina di tornare” e conteneva appunto fregolina; l’etichetta dell’altro, che conteneva fregola grossa, diceva “Fregola di ripartire”. È stato così: ho sempre voglia di essere sull’isola per lavoro o in vacanza, ma quando ci sono mi arrabbio per la rassegnazione che vedo, per l’acquiescenza di troppi ai quali le cose vanno bene così... E me ne vado prima! So bene che in tanti si dannano l’anima per creare benessere. Tutti dicono che basterebbe incrociare turismo, cultura, agricoltura per migliorare le cose. Ma sembra che ci sia un complotto mondiale per impedircelo... Non è che è anche colpa nostra? »

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