La Nuova Sardegna

Tripolitania e Cirenaica: l’eroismo dei soldati sardi

di Luciano Piras
Tripolitania e Cirenaica: l’eroismo dei soldati sardi

Una ricerca storica sui fanti isolani in Africa nella seconda guerra mondiale

24 marzo 2018
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La madre, zia Peppina, è morta manna, a tarda età. «Per tutta la vita aspettò il rientro del figlio Costantino, perché lo sperava ancora vivo. Ogni volta che qualcuno bussava alla porta, chiunque fosse, lei andava ad aprire con la speranza di vedere il suo Costantino apparire sull’uscio». La gente del paese sapeva che lei aspettava che qualcuno, prima o poi, bussasse alla porta. Era la madre di Costantino Antonio Niola, da Aidomaggiore, disperso in combattimento con il sommergibile della Regia marina Neghelli, affondato nel 1941 con l’intero equipaggio a bordo: quattro ufficiali e 32 sottufficiali e marinai.

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A raccontare questa piccola grande storia della Seconda guerra mondiale, attraverso la viva voce dei parenti di zia Peppina, è Giuliano Chirra, bittese, medico ospedaliero a Sassari, appassionato ricercatore storico autore di un nuovo monumentale saggio, “Mortos in sas Africas. I soldati sardi caduti sui fronti africani e nel mare Mediterraneo”. Uno scrupoloso e minuzioso censimento dei 1.200 militari sardi di tutte le forze armate scomparsi nella Tripolitania come in Egitto, nella Cirenaica come in Eritrea, in Tunisia, Etiopia e Somalia. Un cimitero sconfinato e finora dimenticato. È tra queste croci che si è persa anche quella di un ragazzo come Costantino Antonio Niola, figlio di zia Peppina: una storia simbolo della tragedia che accomuna migliaia di famiglie.

Comprese quelle dei pochi sopravvissuti che hanno avuto la fortuna, dopo tanti patimenti, di portare la loro testimonianza fino ai giorni d’oggi: «Sono stato tanto tempo in guerra, ma posso dire di non avere mai combattuto, il moschetto che avevo in dotazione è rimasto sempre freddo, la baionetta non si è mai tinta del rosso del sangue. Il destino non ha mai voluto che fossi capitato faccia a faccia col nemico... » sono le parole di Andrea Tola, classe 1919, di Thiesi, raccolte da Giuliano Chirra.

Le testimonianze. «Ma, mi chiedo, a chi? Chi era il nemico? A chi avrei dovuto sparare? A qualche sudanese, a qualche aborigeno australiano, a qualche zelandese o indiano o pakistano o su sudafricani che componevano le truppe di assalto dell’esercito che noi chiamavamo inglese? Io non lo so ancora: boh!» è la drammatica esperienza di tiu Andrieddu, intervistato nella sua casa del Mejlogu, il 3 giugno del 2014, è morto il 23 novembre 2014.

È tra questi due destini apparentemente diversi, quello brevissimo di Costantino Antonio Niola e quello “un po’ più lungo” di Andrea Tola, che il medico ricercatore Chirra si muove consultando le fonti documentarie ufficiali, da una parte, e gli archivi fotografici di famiglia, dall’altra, per censire i singoli nomi dei ragazzi sardi morti e dispersi dal 10 giugno del 1940, giorno della dichiarazione di guerra, al 13 maggio 1943, data della resa dell’Armata italiana in Tunisia. A corredo documentario, “Mortos in sas Africas” contiene anche le interviste con tredici reduci «che hanno avuto la fortuna di rientrare a casa, ed alcuni di loro, oggi centenari, hanno rievocato quelle vicende della loro vita» spiega lo stesso Giuliano Chirra.

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Uomini e storie. Sono gli uomini che hanno combattuto nei deserti dell’Africa Settentrionale (Libia, Egitto e Tunisia), nell’Africa Orientale Italiana, sulle ambe dell’acrocoro abissino ed eritreo, nelle infuocate depressioni e nelle torride pianure della Somalia. Militari scomparsi tra i flutti del Mediterraneo, il cosiddetto “fronte aeronavale”, per affondamento di convogli che trasportavano truppe, nelle battaglie navali e nei combattimenti aerei. Ventenni o giù di lì che morirono in prigionia nelle colonie dell’impero britannico, nei campi americani e quelli francesi, e quelli morti in prigionia affondati negli oceani, catturati nel corso delle battaglie africane. Pur non pertinenti al tema africano, Chirra ricorda poi anche i militari sardi morti nell’Egeo, nell’Oceano Atlantico e nel Mare Adriatico. Una tragedia immane, con una generazione fatta fuori in quattro e quattro otto.

Alcune cifre tratte dal saggio rendono l’idea: il numero ufficiale dei soldati italiani morti e dispersi nell’Africa Settentrionale è di 22.500 uomini; i dispersi nel mare Mediterraneo sono 38.000. È in questo panorama che si inseriscono le storie dei 1.200 militari sardi.

La grandi battaglie. Un capitolo è dedicato al fronte dell’Africa Settentrionale, lo scenario più conosciuto, celebrato dalle grandi battaglie di Tobruk e di El Alamein, dalle vicende dell’Armata italo-tedesca e dell’Afrika Korps del maresciallo Rommel.

I nomi dei soldati sono legati alle vicende storiche, e le loro storie aprono squarci di vita della comunità isolana: vi sono i guastatori sardi del XXXI battaglione, che per primi aprirono i varchi nel filo spinato e tra i fortini del campo trincerato di Tobruch la mattina del 20 giugno 1942. Affascinante il capitolo dell’Africa Orientale Italiana, dove si combatté fino agli ultimi giorni del novembre del 1941.

Le testimonianze di Giovanni Dettori, da Padria, e di Antonio Cadoni, da Villacidro, raccontano della vita civile e delle vicende militari in colonia.

Il primo, sergente artigliere, volontario della guerra del 1936 e poi imprenditore edile ad Harrar; il secondo capitano medico coloniale, dal 1938 ad Addis Abeba. Entrambi, alla bella età di 105 anni, evocano le vicende di quei giorni, quelle liete e quelle tristi; Dettori ricorda il lavoro fatto, i ponti e le case, le strade e le piazze costruite, soddisfatto della bella casa costruita nella circonvallazione di Harrar.

Regia aeronautica. Drammatiche le testimonianze degli avieri Michelino Salaris, da Sassari, e di Salvatorico Ruggiu, da Cossoine, che aprono uno spiraglio sul clima che regnava negli aeroporti del deserto: il perenne divario di forze e di tecnologia rispetto agli inglesi, le macchine, i combattimenti; interessante è anche l’opinione strettamente personale che entrambi si erano fatti sull’episodio della morte del maresciallo Italo Balbo, opinione che rispecchiava quella dei combattenti in prima linea. Giuliano Chirra riesce persino a rintracciare i libretti di volo dei piloti Francesco Azzena, da Tempio Pausania, e Antonio Fadda, da Osilo. La storia racconta così dei bombardamenti delle basi algerine e tunisine dagli aeroporti della Sardegna; gli attacchi con i siluranti alle navi inglesi, l’inabissarsi in mare degli aerei abbattuti; i duelli contro i modernissimi cacciatori americani. E dopo un capitolo dedicato ai sardi prigionieri di guerra inviati ai quattro angoli del mondo, un altro capitolo affronta il sacrificio più doloroso, quello dei dispersi in mare. Dall’affondamento del piroscafo Aventino, dicembre 1942, che trasportava truppe a Tripoli; i dispersi e morti nella battaglia di Capo Matapan, e quello dell’affondamento dell’incrociatore Trento, battaglia di Mezzo giugno del 1942. Tutto rigorosamente documentato e con un archivio fotografico anastatico che mette insieme circa 450 immagini di giovani e giovanissimi soldati sardi.
 

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