La Nuova Sardegna

Paolo Fresu: «Time in Jazz, una chance per la Sardegna»

di Angiola Bellu
Paolo Fresu: «Time in Jazz, una chance per la Sardegna»

Alla Triennale di Milano è stata presentata l’edizione 2018 della rassegna

28 marzo 2018
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MILANO. Attraverso la musica accadono delle cose, dice Paolo Fresudurante la conferenza stampa – tenutasi ieri a Milano al Palazzo della Triennale – per la trentunesima edizione del festival internazionale Time in Jazz di Berchidda, che il musicista ha ideato e dirige dal 1988, anno della sua nascita. Presentano, oltre a Fresu, Pierluigi Stefanini, presidente di Unipol Gruppo, tra i principali sponsor del festival, Nick The Nightfly, voce inconfondibile di Monte Carlo Nights e Stefano Salis del Sole24ore. Un incontro diverso per una manifestazione diversa: si avverte che tutti sono lì a presentare per affetto, per consonanza di interessi, prima ancora che per esigenze informative.

In questi anni Time in Jazz – che si terrà dall’8 al 16 agosto, sempre tra Berchidda e altri centri del nord dell’isola – è molto cresciuto. Time in Jazz è più che un festival: è una scommessa nata alla fine degli anni Ottanta, quando il mondo stava cambiando. E’ il “miracolo” che si rinnova ogni anno in un’isola percepita come divisa in due: le mitiche spiagge sognate da tutti e un interno che non interessa(va) a nessuno. Un’isola che diventa tutta affascinate, sulle onde del jazz che Fresu ha voluto e fatto crescere in trent’anni.

Affascinante anche per i suoi abitanti che scoprono di vivere in un territorio bellissimo e lo scoprono attraverso lo specchio del prossimo: «La musica per vedere attraverso gli altri quello che siamo noi», dice Fresu, che ha cominciato a suonare nella banda del suo paese, senza la quale, quindi, non sarebbe nato il festival.

Time in Jazz nella sua trentunesima edizione ha scelto di raccontare il jazz dei nuovi musicisti, soprattutto di quelli italiani che portano una “diversità”, una molteplicità così evidente che non esiste in altri paesi del mondo: da Napoli a Rimini al resto d’Italia. E’ una straordinaria opportunità ed è il vero racconto del nostro Paese. Sul palco l’ultraottantenne Gege Munari, il giovane berchiddese Giovanni Galas, Steve Coleman, Greta Panettieri, Dhaer Youssef e tanti altri fino ai Plus39: i migliori allievi dei Seminari Nuoro Jazz. Un’eccellenza sarda, questo festival voluto da Paolo Fresu, personalità internazionale che molto fa, con la sua idea di musica e di cultura, per la Sardegna. Gli abbiamo chiesto una riflessione, una sua “fotografia”, dell’isola.

«Difficile – risponde – parlare di una sola Sardegna. Ci sono “Sardegne” diversificate: in alcuni casi c’è un benessere evidente, in altri c’è un malessere profondo. La Sardegna è un grande continente che oggi vive una situazione complessa. Bisognerebbe fare una politica industriale e culturale legata alle imprese, completamente diversa. Certamente esiste una Sardegna capace di dare risposte importanti, che sono quelle del territorio, del prodotto locale».

Lei gira con la sua musica in tutto il mondo, ci può dire quanto la Sardegna sia conosciuta?

«La Sardegna non è ben collocata sul piano turistico. Sempre di più mi rendo conto che l’isola ha delle caratteristiche che non sono legate solo alla bellezza della natura, ma anche a un modo di vedere dei sardi. Esiste un’identità che oggi la rende un luogo grandissimo. Se tutto questo non viene legato ad una imprenditoria di turismo intelligente, dove esista anche un approccio culturale fatto di manifestazioni, di festival negli ambiti più diversificati, è difficile dare una a riposta alla crisi imperante».

Cosa pensa della passività dei sardi?

«Io vedo anche una Sardegna molto dinamica. C’è una Sardegna creativa, che vuole fare cose diverse e che ha fatto cose straordinarie. Pensiamo all’Internet ante litteram di Niki Grauso. Ci sono persone che lavorano su progetti innovativi, su start up. Però, se non c’è un fare sistema in cui emerga la Sardegna contemporanea che si lega al passato – con una tradizione ricchissima che non esiste altrove – non riusciremo mai ad uscire dalla crisi».

Lei ha legato la Sardegna, con le sue tradizioni e il suo territorio, al jazz, musica universale. Quanto questo suo lavoro fa bene all’isola?

«Una risposta è arrivata l’anno scorso, quando è stato fatto dal Censis e da Confindustria uno studio su tre festival: Berchidda, La Notte della Taranta e il festival rock Home Festival di Treviso. Berchidda è quello che – stando ai numeri – ha dato risultati più importanti: ogni euro speso ne ha prodotto 15, di cui, tolti i reinvestimenti, il valore aggiunto è di 6 euro netti, che vanno suddivisi nella comunità. Moltiplicati per 500 mila (spesi) fanno 3 milioni. Il festival è una fonte di grande reddito. E in una società in cui tutto ha un valore in denaro, la cultura ne ha uno straordinario per il nostro sistema economico e per la crescita dell’intero Paese».

Ha detto che questa è una risposta. Quale l’altra?

«Il Festival di Berchidda significa scambio, dialogo, confronto col prossimo. È vedere un paese non chiuso in se stesso ma che si interroga sul proprio futuro. Centoventi ragazzi volontari che vengono da tutta Europa, che parlano una specie di Esperanto nei 10 giorni della manifestazione. Si parla grazie alla musica, all’arte, alla cultura. C’è una crescita personale che vale infinitamente. Quindi è tutte queste cose insieme, denaro compreso».



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