La Nuova Sardegna

Ceviche, tonno e vermentino L’isola di Rafael Rodriguez

di Roberto Sanna
Ceviche, tonno e vermentino L’isola di Rafael Rodriguez

Lo chef peruviano di stanza a Porto Cervo racconta l’incontro a tavola di due mondi

31 marzo 2018
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Dai sapori dell’America Latina a quelli della Sardegna. La gastronomia e la cultura delle antiche produzioni sono i fili che uniscono il Perù e la nostra isola nella cucina di Rafael Rodriguez, lo chef che ha fatto scorprire all’Italia la cucina del suo paese e dopo aver aperto un ristorante a Milano sta scoprendo il grande patrimonio sardo. Lo scorso anno ha lavorato nei grandi hotel della Costa Smeralda e ha vinto l’edizione 2017 del Girotonno di Carloforte, quest’anno ha deciso di mettersi direttamente in proprio e in attesa dell’estate sta battendo le piste sarde del gusto alla ricerca di informazioni e ispirazioni. Un’occasione è stata “Lu mannali”, la giornata del ristorante Golden Gate di Bortigiadas nella quale è stata esaminata la preparazione e la cucina del maiale, in tutte le sue diverse forme, partendo dall’allevamento e dalla selezione. Rafael Rodriguez, grande amico dello chef di casa Gianfranco Pulina, è stato l’ospite d’onore della manifestazione durante la quale «ho imparato tantissime cose sulla vostra cucina e soprattutto sul maiale sardo, una produzione di altissima qualità».

Come mai ha deciso di stabilirsi in Italia e proporre la cucina peruviana?

«Ho girato tanto e quando sono arrivato in Italia mi sono reso conto che la cucina del mio paese ha avuto immediatamente ottimi riscontri, così ho deciso fermarmi. Ho scoperto la Sardegna nel 2016 grazie al Girotonno di Carloforte, nel quale facevo principalmente l’interprete, e lo scorso anno ho approfondito la conoscenza: sono tornato al Girotonno però come concorrente e ho anche vinto, poi ho lavorato in Costa Smeralda mi sono reso conto che c’è lo spazio per fare qualcosa di più».

Quali sono le caratteristiche della cucina peruviana?

«Prima di tutto la materia prima. La caratteristica principale del Perù è infatti la biodiversità: l’ottanta per cento delle specie vegetali e animali di tutto il mondo infatti è presente nel mio paese. Tant’è vero che si dice che in caso di qualche cataclisma, la ripopolazione del pianeta Terra ripartirebbe proprio dal Perù. E non è un caso che nel 2015 sia stato dichiarato capitale mondiale della gastronomia».

Qual è il piatto simbolo della vostra gastronomia?

«Sicuramente il ceviche. Un piatto di pesce marinato nel limone con aromi quali lo zenzero e il peperoncino. In realtà gli ingredienti fondamentali sono due: il limone e l’Oceano. Ma non c’è solo questo, come avrete capito nella cucina peruviana c’è di tutto e sappiamo riproporre i sapori di una terra antichissima. Come la vostra, del resto».

Come mai ha deciso di dedicarsi alla cucina?

«In maniera abbastanza casuale. Ho confidenza con la gastronomia praticamente da quando sono nato, perché mia mamma aveva un catering di pasticceria e bene o male tutti in casa le davamo una mano. Però io volevo fare il calciatore, ero anche bravo e sono finito in Germania, in una squadra della loro Serie B. Poi ho avuto un brutto infortunio, mi sono rotto una tibia e la mia carriera col pallone è finita così. Però non volevo tornare a casa e ho deciso di approfondire il mio rapporto con la cucina, mi sono trasferito in Francia per studiare dai grandi cuochi e ho scoperto l’Italia durante uno stage in Puglia».

E non è più andato via.

«Mi ha affascinato tantissimo il vostro concetto di gastronomia regionale e locale: ogni territorio ha la propria pasta, i propri sughi, il proprio formaggio. E ammiro il processo col quale arrivate a produrli, soprattutto la stagionatura. In Perù, da questo punto di vista, siamo ancora “giovani”».

Adesso che sta scoprendo la gastronomia sarda, che cosa l’ha colpita?

«Sto scoprendo pian piano la vostra regione, per ora ho conosciuto bene soprattutto le zone di Cagliari, Carloforte, Olbia e Arzachena. Mi piace il fatto che la gente sia riservata e allo stesso tempo accogliente, gentile, per niente cupa. Tornando alla tavola, Avete dei frutti di mare favolosi e devo dire che la vostra bottarga è qualcosa di pazzesco, così come i gamberi pescati in questo mare. Avete anche delle erbe particolari: il pungitopo, per esempio, che dalle nostre parti chiamiamo “tiradito” e utilizziamo in molte preparazioni. E trovo molto particolari gli asparagi selvatici. Ho assaggiato anche dell’ottima carne alla brace, dei risotti buonissimi e devo inoltre riconoscere che sapete utilizzare alla grande un prodotto che è nato proprio in Perù: il pomodoro. Poi il vermentino, ha un profumo e un sapore eccezionale e il Capichera è davvero il numero uno. Trovo buoni anche i dolci tradizionali, sono del parere che sono cose da conservare e non snaturare. Casomai dovreste modernizzarli con la presentazione».

Che cosa manca invece?

«La vostra cucina è conosciuta ma quello che dovreste fare è trasmettere il concetto gastronomico di identità e appartenenza. I vostri piatti lo hanno, ma la gente non lo sa. Eppure il maiale, il vino, l’olio, sono prodotti caratteristici del territorio».

Dovesse creare un piatto che unisca la cucina peruviana e quella sarda che cosa farebbe?

«Mi piacerebbe provare il vostro maiale con la nostra “escabeche”, una salsa marinata con l’aggiunta di cipolle e pepe. Sarebbe fantastico».

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