La Nuova Sardegna

Gianfranco Pintore, giornalista e indipendentista laico

di Alessandro Marongiu
Gianfranco Pintore, giornalista e indipendentista laico

Venerdì in edicola “Il grande inganno”, sul Risorgimento Col giornale l’undicesimo romanzo di Scrittori di Sardegna

11 aprile 2018
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L’impegno politico, il lavoro come giornalista e la scrittura di finzione che hanno caratterizzato la vita pubblica di Gianfranco Pintore hanno quasi sempre avuto, in special modo il primo e la terza, un comune denominatore: la Sardegna. Di «fede laica» ha parlato su La Nuova Angelo Fontanesi all’indomani della morte di Pintore, avvenuta nel settembre del 2012, riferendosi in particolare alle sue posizioni sull’indipendentismo e su una sardità «intesa come coscienza storica e culturale della sua terra», portate avanti «con determinazione ma mai con visuali stereotipate né con occlusioni dogmatiche».

Il giornalista. Nato a Irgoli nel 1939, Pintore frequenta le scuole superiori e l’università a Firenze, ed è nel capoluogo toscano che muove i primi passi nella carta stampata, collaborando con la locale redazione de L’Unità. Nel 1965 è chiamato nella sede principale del quotidiano, a Roma, ma nel giro di pochi anni è già altrove: dopo la parentesi a “Mondo Nuovo”, si sposta a Milano dove scrive per il settimanale “Abc”. Nel 1974 due avvenimenti importanti: l’uscita del primo libro, “Sardegna: regione o colonia?” (Mazzotta), e il ritorno nell’isola, dalla quale lavora come corrispondente per “L’Espresso” e, più avanti, per “Tempo illustrato”. Entrato a far parte del movimento Su Populu Sardu, nella seconda parte del decennio fonda il mensile “Sa Sardigna” e “Radio Supramonte”, entrambi bilingui; dal 1980 è nelle file del Psd’Az, di cui dirigerà anche il periodico “Il Solco”, e contribuisce poi alla nascita di Sardigna Natzione (1994) e di Fortza Paris (2004).

Il romanziere. Per quanto concerne la produzione narrativa, l’esordio di Pintore è datato 1981, quando per le Editziones de sa Nae esce “Sardigna ruja”, storia, dice Francesco Casula, «della contrastata industrializzazione forzata delle terre interne della Sardegna che ha come effetto il sorgere di una banda guerrigliera che dà il nome al romanzo». Pintore, sottolinea Natalino Piras nel suo “La parola scomposta”, «avvolge i fatti veri del paese di Lula in un’atmosfera da giallo a cui noi aggiungiamo la specificazione di “paesano”», con i rivoltosi protagonisti «che chiedono la distribuzione di cinquantamila quintali di mangime per il bestiame dei pastori della zona in cambio del rilascio» di un intermediario al soldo di Mirelli, industriale petrolchimico senza scrupoli.

Se qui al centro del racconto c’è un intellettuale, Mario Mureddu, costretto dalle circostanze alla latitanza, nel successivo “Manzela” del 1985 tocca a un professore di lettere, Josto Mereu, rimanere invischiato in una nuova trama di delitti e intrighi. Il tema di fondo è l’opposizione tra «due modi di intendere, di fare e di subire la giustizia in uno stesso luogo»: da un lato la giustizia ufficiale, dello Stato, dall’altro quella «dei giudici di Dorimannu, i depositari e gli interpreti della saggezza pastorale». Interessante ciò che Piras mette in evidenza circa la figura paterna nelle due opere, intesa come «referente obbligato e come extrema ratio per la salvezza dalla insidie del reale» e utilizzata per «veicolare sia la legge non scritta di una civiltà in via di estinzione – una legge, un codice dove il vivere comunitario sta alla base di tutto – sia la capacità di quella legge di resistere a tutti gli altri codici venuti da fuori, costruiti da culture esterne alle esigenze singole e “societarie” del “noi pastori”». Nel 1986 vede la luce per Rizzoli “Sardegna sconosciuta: cento itinerari alla scoperta della grande civiltà sarda”, che verrà riproposto nel 2001 in una veste aggiornata ancora dall’editore milanese; nel 1989 è la volta della prima fatica in sardo, “Su Zogu” (Papiros), vincitrice del premio Casteddu de sa Fae e tradotta in italiano nel 2000 per Zonza con il titolo di “La caccia”.

La fantascienza. L’autore abbandona i territori del giallo più o meno ortodosso frequentati fino a questo momento in favore della fantascienza, centrando, secondo Giuseppe Marci, l’obiettivo: “Su Zogu” può essere visto sia come «monito per le generazioni future» che come «segnale della maturazione che il fare letterario ha avuto in Sardegna sul finire degli anni Ottanta».

Le ultime opere. Con “La sovrana e la cameriera” del 1996 (Insula) Gianfranco Pintore torna alla forma del saggio, per riflettere su federalismo e autonomia, limba, zona franca e unità («Sì, intorno alla nazione sarda»); l’irgolese riprende poi con la narrativa: “Nurai” (Papiros) e, da qui in avanti sempre per Condaghes, “Morte de unu Presidente” (2007), “Sa Losa de Osana” (2009; apparso in contemporanea anche in italiano come “La stele di Osana”) e infine “Il grande inganno”, il romanzo che i lettori de La Nuova Sardegna troveranno in edicola da venerdì prossimo per l’undicesimo appuntamento con la collana “Scrittori di Sardegna”. Siamo in uno Stato che, dopo l’Unità, ha preso il nome di Sardegna e che ha per capitale Firenze, città in cui è andato a vivere e a studiare Austinu Moro. Il giovane rientra nella regione d’origine per un ultimo saluto al nonno Naniu, il quale prima di spirare gli consegna dei diari vergati a mano dall’antenato, nonché omonimo del nipote, Austinu Moro. L’epopea risorgimentale e gli eventi a essa seguenti, si scoprirà da quelle pagine, saranno completamente da riconsiderare.

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