La Nuova Sardegna

L’antica Cagliari e la nuova anima di Nora Musa

di Alessandro Marongiu
Villa Satta a Cagliari
Villa Satta a Cagliari

Per la collana Scrittori di Sardegna il libro “Fiore di fulmine” di Vanessa Roggeri

19 aprile 2018
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«Gente di Monte Narba, accorrete! Miracolo! Miracolo! È successo un miracolo! La bambina è resuscitata!»: a fare voci, per l’incredulità di ciò a cui ha appena assistito e per la felicità di un risveglio a dir poco inaspettato, è Toninu il becchino. Il camposanto è il suo regno da tre decenni, di storie più o meno veritiere da raccontare ne avrebbe parecchie, ma una cosa simile va ben al di là di ogni fantasia, e anche della realtà: la piccola Nora Musa era già dentro una cassa di legno in attesa di sepoltura, e invece è viva. O meglio: è di nuovo viva, perché sul fatto che fosse morta, dopo esser stata colpita da una folgore e dopo il referto del dottor Fiori, di dubbi non ne aveva nessuno. Eppure adesso è lì, bianca come un fantasma e frastornata, tra le sue braccia, pronta a essere riaccolta dai fratelli maggiori Saturnino, Pietro e Lazzaro e dalla madre Luigia. I quali non fanno in tempo ad abituarsi al prodigio, che devono già affrontare le novità: un lungo fiore di fulmine percorre il corpo della bambina dal petto al piede sinistri e, soprattutto, lei sembra aver sviluppato la capacità di comunicare con i defunti. La malevola parente Teresa mette tutti in guardia: Nora è divenuta una “bidemortos”. «La loro anima è corrotta ed esce dagli occhi con una strana luce. Hai visto gli occhi di tua figlia? Mi fanno venire i brividi! Anche la bidemortos di quando ero ragazza aveva occhi che non sembravano di questo mondo», dice la cugina a una sconsolata Luigia, che si fa convincere ad allontanare Nora dalla povera casa dei Musa.

Isolamento e svolta. Per nove anni Nora vive così a Cagliari, nella Casa delle Figlie della Provvidenza. Quanto le è accaduto l’ha segnata profondamente, nel fisico e nel corpo: chiusa in sé stessa, non lega con le altre ospiti e non si apre neanche con Suor Nicoletta, che pure per lei ha una predilezione particolare. A isolare ancora di più Nora c’è una sua abilità strabiliante con l’ago e il filo tra le mani: un’eredità materna che lei, con la pratica, ha trasformato in talento prezioso. Al momento del congedo dall’istituto per aver raggiunto l’età massima, e mentre il 1908 comincia a volgere al termine, Nora sarebbe destinata a un lavoro da operaia alla Manifattura Tabacchi di viale Umberto, ma un incontro cambia le carte in tavola. Una dama di carità, senza troppe spiegazioni, dopo averla incrociata brevemente decide di prenderla a servizio «nella sua nobile dimora nel quartiere delle ville di Stampace, alla fine del Corso, sul limitare delle campagne». Si tratta della viscontessa donna Trinez, che Nora non l’ha certo scelta a caso: tra le mura domestiche, e più ancora in fondo al cuore, custodisce un doloroso segreto, e ritiene che quella giovane tornata dai morti possa aiutarla a portarne alla luce le zone tuttora avvolte nel mistero. Per Nora sarà la prova decisiva: quella indispensabile per lasciarsi il passato alle spalle e prendere piena coscienza di sé.

Le influenze letterarie. Questa, svelando il meno possibile, è la trama di “Fiore di fulmine” di Vanessa Roggeri, che, uscito nel 2015 per Garzanti, sarà in edicola con La Nuova da venerdì per il dodicesimo appuntamento con la collana “Scrittori di Sardegna” (a 6,70 euro più il pezzo del quotidiano). L’autrice fa confluire in un’unica narrazione suggestioni di diversa provenienza: da un lato quelle legate alle leggende e alle favole isolane apprese durante l’infanzia in ambito famigliare che tanto hanno contribuito a originare il suo immaginario, dall’altro il romanzo di formazione classico e la letteratura gotica inglese, l’influenza della quale è facilmente riscontrabile nel passo in cui Nora giunge per la prima volta alla villa di donna Trinez e in tutti gli avvenimenti che seguono. In “Fiore di fulmine” c’è però molto altro, a partire dal desiderio della Roggeri, sorto in lei una dozzina di anni fa durante gli studi universitari, di ambientare un libro nella Cagliari di un tempo («Approfondendo i vari aspetti del ceto nobiliare cagliaritano di fine Ottocento sono rimasta affascinata da una città, quella in cui sono nata e cresciuta, e da una società in pieno fermento culturale», ha detto rispondendo alle domande del blog “Liberi di Scrivere”»).

La ricerca storica. Ricostruire un’epoca lontana ha naturalmente «richiesto un intenso lavoro di documentazione attraverso autori come Francesco Alziator. «Ho consultato centinaia di documenti, persino atti testamentari, e devo dire che Internet è stato fondamentale poiché mi ha permesso di accedere a delle rarità che diversamente non avrei saputo rintracciare. Ciò che però più mi interessava era carpire lo spirito di quel periodo, afferrare quel confine sottile che mi desse la misura della diversità tra noi gente moderna e loro, uomini e donne di inizio Novecento. A questo scopo ho visitato i cimiteri monumentali di Cagliari, perché dal concetto di morte si può capire il senso profondo di un popolo» (così la scrittrice a “La Rassegna dei Libri”). E ancora: «Fonte d’ispirazione per il personaggio di donna Trinez è stata Francesca Sanna Sulis, figura eccezionale di donna e imprenditrice che nel XVIII secolo esportò dalla Sardegna in Europa i tessuti realizzati nella sua azienda di Quartucciu, vestendo perfino Caterina II di Russia».

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