La Nuova Sardegna

«Il Man, una realtà di eccellenza aperta al mondo»

Paolo Curreli
«Il Man, una realtà di eccellenza aperta al mondo»

Parla il nuovo direttore, Luigi Fassi, appena arrivato in Sardegna: «L’isola grande crocevia di cultura tra Oriente e Occidente»

22 aprile 2018
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Arriverà i primi giorni di maggio per cominciare a lavorare al Man, nell’ufficio di via Satta che fu di Cristiana Collu dal 1996 al 2013 e poi di Lorenzo Giusti fino a luglio dell’anno scorso. Luigi Fassi torinese, 40 anni, è il nuovo direttore del museo d’arte moderna della provincia di Nuoro. Sbarca in Sardegna dopo aver curato per sette anni la sezione Present Future di Artissima, ricoperto l'incarico di direttore all'Ar/ge kunst di Bolzano, la sezione arti visive del festival Steirischer Herbst di Graz in Austria e girato il mondo nel suo periodo di formazione.

Tra qualche giorno sarà in Sardegna, come si sente?

Arrivo con entusiasmo e una sincera umiltà, sono molto curioso e il più possibile ricettivo. Ho trovato sempre molto interessante la letteratura della Sardegna, quella classica e contemporanea. Proprio in questi giorni parlavo con un docente universitario italiano attivo negli Stati Uniti della Summer School di Ghilarza su Gramsci, ho scoperto tanta motivazione, qualità e intelligenza e a Nuoro un museo con grandi potenzialità».

Come vede il rapporto tra il mondo e la periferia lontana?

«Stimolante, stavo proprio pensando al fatto che dal punto di vista geografico ho avuto la fortuna e le difficoltà di muovermi in posti diversi da Torino, dove sono nato, lavorerò in un’altra Regione a statuto speciale dopo il Trentino e all’ Ar/ge Kunst di Bolzano mi sono trovato bene. Le culture di confine mi hanno interessato prima ancora in Austria a Graz in Stiria. Proprio in quegli anni, 2015-2016, l’Austria reagiva con paura all’immigrazione dalla rotta balcanica costruendo una barriera di metallo nei boschi per fermare i profughi che arrivavano dalla Jugoslavia. Durante le manifestazioni per il Festival d’autunno stiriano abbiamo creato diverse iniziative artistiche su questi temi mettendo le mani nella contemporaneità, intervenendo sulla paura che nasceva in quei paesini di montagna che si sentivano invasi, popolazioni che si sono sempre sentite ai confini, territori dell’Occidente che si sono sempre percepiti come finis terrae, ai tempi della Cortina di ferro».

L’arte nazionale è finita da molto tempo, i confini non esistono più?

«In questo il mondo dell’arte si è dimostrato molto più avanti della politica che cerca, anche fisicamente, di ricostruire le frontiere ottocentesche, dividere i cittadini per nazionalità. Nell’ambito artistico queste cose si sentono molto di meno».

Le identità e le diverse particolarità italiane?

«L’Italia, rispetto ad altri paesi, ha tante culture a macchia di leopardo io la trovo una ricchezza straordinaria, la cosa che colpisce di più dell’Europa, e anche quella meno comprensibile negli Usa per esempio, è proprio la varietà di culture e linguaggi in così poco spazio. Penso a questo regionalismo, che in fondo appartiene a tutti gli italiani, non in una visione di difesa, uno sguardo solo al passato per sfuggire all’oggi burrascoso, quel “mondo grande e terribile” di Gramsci, ma in una prospettiva di scambio».

Come posizione la Sardegna in questi mondi di confini?

«Mi interessa la visione dello storico francese Fernand Braudel che individuava una frattura tra Mediterraneo di Occidente e quello orientale, due mondi che si sono scontrati e incontrati. Ecco vedo la Sardegna come un crocevia al centro di questi universi storici e culturali, è questo il mondo che voglio esplorare e che mi incuriosisce molto, un’apertura verso le altre sponde. Dal Continente europeo alla Grecia, dall’Africa al Medio Oriente. Una prospettiva tra locale e globale che i musei italiani non hanno ancora esplorato e tematizzato, vedere le diverse sponde con un senso totale di appartenenza».

L’arte di oggi parla ancora a tutti?

«Corre il rischio di diventare autoreferenziale, anche l’etichetta “contemporanea” la trovo stonata, ogni arte è stata contemporanea. Spesso ci sono situazioni dove la capacità di dialogo si riduce, è qui c’è il ruolo del museo, la sua capacità di mediare e rendere accessibile il discorso dell’artista. Da questo punto di vista sono importanti le nuove figure professionali: curatori, addetti alla didattica e mediatori culturali».

Una sua idea di museo?

«Mi piace la definizione di museo civico. La trovo molto nobile e importante. Un museo consapevole di appartenere a una comunità, un luogo capace di incentivare inclinazioni e talenti che magari non si sapeva di possedere.In fondo è stato così anche per me, la voglia di fare questo mestiere è nata visitando da ragazzino la Galleria civica d'arte moderna a Torino».


 

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