La Nuova Sardegna

«Nei miei scatti tutto il fascino della Sardegna»

di Antonio Mannu
«Nei miei scatti tutto il fascino della Sardegna»

A Cagliari una mostra sui nuraghi. L’isola più arcaica vista dal grande fotografo Berengo Gardin

26 aprile 2018
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Gianni Berengo Gardin è un nome ben noto della fotografia italiana, uno tra i più prolifici autori di libri fotografici. Ne ha realizzato oltre 250. Uno recente, “Architetture di pietra-Fotografie della Sardegna nuragica”, pubblicato dalla casa editrice Imago, è dedicato esclusivamente alle peculiari architetture megalitiche dell’isola. Un lavoro realizzato nel 2017, nato da un’idea dell’archeologo Marco Minoja. Oggi alle 18, alla Fondazione di Sardegna in via San Salvatore da Horta 2 a Cagliari, sarà inaugurata la mostra “Un fotografo in viaggio: Gianni Berengo Gardin e la Sardegna nuragica”. L’esposizione, curata dallo stesso Marco Minoja, propone 40 opere in bianco e nero, accompagnate da un breve testo con impressioni di studiosi, archeologi e giornalisti, incontrati durante il percorso. Gianni Berengo Gardin racconta di questo progetto, a cominciare da come è nato.

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«In primo luogo – dice – devo ringraziare la Fondazione di Sardegna, perché senza il suo sostegno il lavoro non si sarebbe potuto fare. L’idea è di Marco Minoja, che mi ha proposto di fare una vasta ricognizione fotografica sulle architetture nuragiche. Abbiamo ragionato su come portarla avanti, poi ci siamo messi al lavoro. Minoja mi ha sempre accompagnato, anche perché io, che pure conosco la Sardegna, oltre la metà dei nuraghi che abbiamo visitato non sapevo dove fossero. Insieme con noi c’era mia figlia Susanna, che mi ha fatto da assistente. Abbiamo girato tutta la Sardegna per più o meno una settimana, lavorando duramente. Partivamo al mattino presto e si andava avanti sino a tarda sera. Correvamo da un luogo a un altro, ci fermavamo per fare le fotografie, poi ripartivamo».

In quanti posti siete stati?

«Non so di preciso: tanti, direi un centinaio. In alcuni siamo dovuti tornare, perché non sempre è stato possibile, per varie ragioni, arrivare a destinazione. È stato un lavoro abbastanza complesso, ma mi ha dato una grande soddisfazione. Anche perché l’editore Imago, con cui avevo già collaborato, ha fatto un ottimo lavoro, con una impaginazione impeccabile e una stampa straordinaria, che fa risaltare i sassi e le pietre in maniera mirabile».

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Lei ha lavorato in Sardegna in più occasioni?

«Sì, ci ho trascorso anche dei lunghi periodi. Ho fatto un lavoro ampio per il Touring Club, al principio degli anni Settanta. Siamo stati sull’isola oltre due mesi, l’abbiamo girata tutta. Qualche anno fa, invece, ho lavorato a un mio progetto personale, da cui appunto è nato un libro pubblicato da Imago».

Cosa ha pensato quando le è stata fatta questa proposta?

«Grande entusiasmo. Mi sono sempre interessato di architettura e i nuraghi sono costruzioni straordinarie».

Edifici antichi che aveva già fotografato. Oltre trent’anni fa è stata realizzata una sua mostra: “Sardegna preistorica-Nuraghi a Milano”.

«Quella mostra proponeva soprattutto immagini del vostro vasto patrimonio archeologico; foto di nuraghi ce n’erano un paio, li avevo fotografati occasionalmente e solo i più conosciuti. Ero più concentrato sul paesaggio e sulla gente».

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Infatti nei suoi lavori, almeno in quelli più noti, è sempre presente l’elemento umano.

«Senz’altro il mio interesse principale è la fotografia sociale, però anche l’architettura mi ha sempre interessato, anche se non mi ci sono dedicato totalmente, come ha fatto ad esempio Gabriele Basilico. In quest’occasione ho cercato di esaltare soprattutto l’aspetto architettonico degli edifici, mentre quando fotografo il sociale, l’elemento umano, così come il paesaggio, passa in secondo piano».

Che sensazioni si provano a fotografare delle antiche pietre?

«Straordinarie, perché si rivive, in qualche modo, l’atmosfera di un passato molto remoto. Per questo ho evitato di inserire nelle immagini delle persone. Perché quello che cercavo era l’impressione di ciò che era stato. Quindi i turisti, ad esempio, che spesso abbiamo incontrato, erano un elemento di disturbo».

Ne avete incontrato molti?

«Ne abbiamo incontrati tanti. Cercavo di evitarli, anche perché i turisti sono sempre abbigliati in modo ridicolo, in fotografia mi disturbano. Anche quando ho fatto dei libri su Venezia, e ne ho realizzati otto, ho evitato di fotografare i turisti».

Venezia però è un luogo turistico, è un dato di fatto.

«Sì, è assassinata dal turismo. E la situazione è molto peggiorata rispetto al passato. Quando ancora ci abitavo, negli anni Sessanta, c’era un turismo di qualità: oggi c’è un turismo cialtrone. Non parlo di tutti naturalmente, ma i visitatori rispettosi e informati scompaiono nella massa. In Sardegna invece abbiamo visitato tanti luoghi poco frequentati, spesso isolati, difficilmente raggiungibili dai visitatori. E comunque le persone incontrate nei siti nuragici mostravano un grande interessamento. Un buon segno. A Venezia invece tanti girano per la città senza nemmeno vederla».

Cos’è per lei la fotografia?

«Raccontare e documentare quello che vedo. Non ho alcun desiderio di esser considerato un artista. Le fotografie che mi interessano raccontano storie».

E come si fa fotografia oggi?

«È cambiato molto rispetto al passato. Oggi si fotografa essenzialmente con il telefono cellulare. Con tutte le conseguenze (negative) che questo comporta».

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