La Nuova Sardegna

Amore e dolori nella Sicilia dei Borboni

di Alessandro Marongiu
Amore e dolori nella Sicilia dei Borboni

“L’eredità dei petali d’avorio” di Giulia Clarkson In edicola oggi per “Scrittori di Sardegna”

04 maggio 2018
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Quando Napoleone caccia i Borboni da Napoli, installando nel loro Regno il fratello Giuseppe, e dispone poi con il Decreto di Berlino il “blocco continentale” che impedisce alle navi britanniche l’attracco nei porti dell’Impero francese – ciò che equivale a dire, a quell’altezza cronologica, praticamente in tutta Europa, se si eccettua il Portogallo –, decine di migliaia di inglesi iniziano a spostarsi in Sicilia con l’intenzione di farne un avamposto del loro Paese nel Mediterraneo, sia per proseguire i traffici commerciali che per provare a contenere, in un modo o nell’altro, Bonaparte. Siamo nel 1806, e per il decennio a seguire la presenza inglese nell’isola sarà un elemento di enorme peso sotto il profilo politico ed economico.

JOHN E MATTHEW. Tra quanti trafficano, e con grande successo, c’è John Woodhouse, uno «nato con la schiena dritta e il lavoro nel midollo», che da Trapani «imbarca e sbarca le “pipes” di vino Marsala del tipo Madeira che la flotta inglese chiede con insistenza e di cui si approvvigionano i vascelli diretti alle Indie Orientali». A servizio nel baglio di cui Woodhouse è proprietario c’è Matthew Lion, protagonista di una delle due linee narrative de “L’eredità dei petali d’avorio”, il romanzo di Giulia Clarkson edito da Arkadia nel 2015 che da domani sarà in edicola con La Nuova per il quattordicesimo appuntamento con la collana “Scrittori di Sardegna” (a 6,70 euro oltre al prezzo del quotidiano). Alcuni mesi addietro, mentre è al College, Matthew viene informato della morte del padre in battaglia ed è costretto ad abbandonare gli studi «poiché nessuno provvede più a pagare la retta»; saluta la madre, nonostante «la sappia debole, incerta, malata», e se adesso che si trova in Sicilia un pozzo nero d’angoscia gli agita l’animo non è né per le sventure del passato né per esser stato catturato e imprigionato dai berberi, quanto piuttosto per il presente: quel presente che non vive con la donna che ama. L’aveva conosciuta qualche tempo prima mentre lei, camuffata da mozzo, viaggiava sul suo stesso brigantino Silver Lady salpato dal West Indian dock di Londra, e «il fatto è che qualunque nome o vestito si metta addosso, di donna o di uomo, Charlotte Pitt corrisponde perfettamente al suo cuore». Non c’è niente allora che lui non proverà a fare per rintracciarla, anche se questo potrà condurlo a stravolgere completamente la sua esistenza e a sacrificare la moglie Antonina e i figli.

LA PECORA NERA. Protagonista della seconda linea narrativa è Viola Sanzio, palermitana dei nostri giorni. Se a Matthew il genitore, venendo a mancare, aveva lasciato solo debiti, a Viola il suo ha lasciato qualcosa d’inaspettato: un’antica tela e un quaderno malridotto. I soldi e i beni sono spettati ai due fratelli Caterina e Francesco; a lei, la più classica delle pecore nere, giusto le cianfrusaglie. Che però in realtà, a indagarle a dovere, e Viola non si fa certo scappare l’occasione, tali non sono. Celano infatti un tesoro: la storia di un avo dei Sanzio, che è come dire la storia dell’intera famiglia. Quell’avo è per l’appunto Matthew Lion. Nel corso di un’intervista rilasciata a “La Donna Sarda”, Giulia Clarkson ha rivelato: «In questo romanzo c’è una storia che mi appartiene profondamente, nel senso che io mi porto dietro un cognome inglese, approdato in Sardegna appena due generazioni fa, e che prima di approdarvi è stato per diverse generazioni in Sicilia. Questa storia, in verità, è la storia dei miei antenati, e il protagonista Matthew, a cui ho cambiato il cognome mantenendo però il nome, è proprio quel mio antenato che abbandonò l’Inghilterra per trasferirsi in Sicilia».

SPECCHIO DI UN’EPOCA. In “L’eredità dei petali d’avorio” c’è però anche molto più di questo, a cominciare da un’attenta ricostruzione d’epoca per le vicende che si svolgono in principio di Diciannovesimo secolo. E, ancora, ci sono i temi del mutamento e delle scelte individuali, come spiega l’autrice cagliaritana quando pone in evidenza che entrambi i personaggi principali «sono chiamati a riconoscere e affrontare i loro limiti, e poi si trovano davanti la possibilità di scegliere quale via seguire. È quello che capita spesso nella vita di tutti noi: abbiamo un ambiente famigliare che ci propone degli stili di vita, e noi possiamo seguirli o conquistare una nostra libertà e inventarci degli stili, dei modi diversi». Molto interessante, in questo senso, il rapporto tra Viola e il padre, un politico dalla grande influenza in tutta la regione e dal comportamento tutt’altro che cristallino («Appariva perbene. Per i modi gentili, il sorriso disarmante. Gli occhi blu. Ma troppo gli piacevano la bella vita, gli intrighi, ricconi e briganti con cui mettersi in competizione, se non poteva esserne socio. L’ho capito quando l’ho visto alla buvette dell’Assemblea, a Palermo, assiso fra pari. Si vantava di come ne avesse sistemato settantaquattro in un colpo solo. Un intero paese»). La figlia l’ha sempre rifiutato sia nel ruolo privato che in quello pubblico, ma la ricerca – forse da lui consapevolmente pilotata – cui la spingono la tela e il quaderno ricevuti alla sua scomparsa, costituisce per Viola, negli esiti, la vera eredità: una nuova, e maggiore, consapevolezza e accettazione di sé. +

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