La Nuova Sardegna

Angelo Sotgiu, il biondo dei Ricchi e Poveri: solo a Isola Rossa mi sento a casa

Dario Budroni
Angelo Sotgiu dei Ricchi e Poveri nella sua Sardegna
Angelo Sotgiu dei Ricchi e Poveri nella sua Sardegna

Carrellata su 50 anni di carriera che sono nella storia della musica leggera italiana. De André incoraggiò il gruppo all'esordio, di Califano fu l'idea dei capelli biondi per il giovane sardo. Un rammarico: non aver cantato con la grande Maria Carta

13 maggio 2018
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Mastica il gallurese da quando era bambino. Lo parla male ma lo capisce benissimo. «E ci mancherebbe pure. Anche se vivevamo a Genova, i miei genitori hanno sempre parlato in gallurese. In particolare mio padre, soprattutto quando si arrabbiava». Che il cantante dei Ricchi e Poveri sia sardo non ci sono dubbi. Lo dicono innanzitutto i dati anagrafici. Il padre si chiamava Luigi Sotgiu ed era gallurese. E pure la mamma Giovanna di cognome faceva Sotgiu, anche se era di origini algheresi. Poi il luogo di nascita: Trinità d'Agultu, il paese spalmato sulla stupenda costa occidentale della Gallura.«Appena ho qualche giorno libero prendo l'aereo e torno nella mia isola - racconta -. Sono stato lì poche settimane fa. Il tempo era brutto. E sai che ho fatto? Mi sono rinchiuso in casa e mi sono goduto ugualmente la mia Sardegna. A me basta respirare quei profumi per sentirmi meglio».

Per Angelo Sotgiu, classe 1946, questi sono giorni particolarmente importanti. Il motivo è questo: ha appena festeggiato 50 anni di carriera con i suoi Ricchi e Poveri. Al fianco di Angela Brambati, insieme a lui l'unica superstite del quartetto che ha scritto la storia della musica italiana, è da poco salito sul palco del Teatro Colosseo di Torino per lanciare il tour del cinquantenario.

La prima cosa bella. Adesso volerà a spasso per l'Italia e per l'Est europeo, dove i Ricchi e Poveri sono una leggenda. Appena potrà, però, tornerà in Sardegna, nella sua casa a Isola Rossa, per passare un po' di tempo con i suoi amici o per fare un giro in gozzo con il fratello Orazio. Angelo Sotgiu aveva sedici mesi quando lasciò la Sardegna. «Da neonato avevo problemi di salute, quindi mi portarono a Genova, all'ospedale Gaslini - racconta -. Poi guarii, ma mio padre, che in Gallura faceva il fabbro, si mise a cercare lavoro a Genova. E così alla fine rimanemmo lì. Ma il legame con l'isola è sempre stato molto forte. Venivano a trovarci un sacco di parenti e ricordo che uno di loro ci portava i carciofi di Valledoria. Erano buonissimi». Poi il primo ritorno nell'isola, per le vacanze, all'età di 11 anni. «Durante quel viaggio mi innamorai perdutamente della Sardegna - confessa Sotgiu -. Era come se ci fossi sempre stato. Ricordo il profumo dell'elicriso, che si avverte fortissimo quando con la nave si entra nel golfo di Olbia. È un profumo che tutt'ora mi emoziona».

Una volta diventato famoso, Angelo Sotgiu, padre di tre figli, acquistò poi una casa a Isola Rossa, nel comune della sua Trinità d'Agultu. «Io vado lì per rilassarmi e riposarmi - racconta -. A Trinità ho tanti amici e parenti, ci sono le mie radici. Amo anche andare per mare. Mio fratello ha un piccolo gozzo e insieme, quando possiamo, andiamo a pescare. Passiamo sempre dei bei momenti, pure quando non si pesca nulla». I sardi sono fatti così, soprattutto quelli che sono stati costretti a emigrare.

Amore in comune. «La Sardegna, quando ce l'hai nel sangue, ti fa questo effetto. Lo noto anche quando giro l'Italia per i concerti. Spesso mi capita di incontrare dei sardi e loro puntualmente mi dicono: "Anche io sono sardo". Si crea subito un legame particolare». Anche per questo i genitori di Sotgiu, dopo una vita vissuta a Genova, sono stati sepolti a Trinità d'Agultu. «Era il loro desiderio. E ti confesso che è anche il mio. Quando non ci sarò più, vorrò riposare a Trinità. Il mio amore per l'isola e per il mio paese è davvero troppo grande». La vita di Angelo Sotgiu si è più volte incrociata con quella di Fabrizio De André, genovese e innamorato perdutamente della Gallura. «Lui credette fortemente in noi - racconta Sotgiu -. Quando ancora non eravamo nessuno, organizzò un provino a Milano. Andò male, ma ci spronò e ci consigliò di non mollare. Siamo stati sempre molto legati a lui. Aveva anche una casa a Portobello, in Gallura, prima ancora di comprare la tenuta dell'Agnata di Tempio. Qualche volta ci siamo pure incontrati. Era un grande amante della Sardegna, forse l'amava anche più di noi sardi perché a differenza nostra lui in Sardegna non c'era nato. Il suo era un amore incondizionato». Una ammirazione, quella per De André, che va oltre l'amore in comune per l'isola. «È stato un gigante. Per esempio, io ascolto sempre molta musica, da quella leggera al rock. Ma il massimo è ascoltare Fabrizio De André - confessa Angelo Sotgiu -. Ha scritto canzoni immortali, così come Lucio Dalla, Pino Daniele e tanti altri. Negli anni Sessanta, quando stavo muovendo i primi passi in questo mondo, invece ascoltavo molto Lucio Battisti, i Beatles, i Rolling Stones e Mamas & Papas».

Cambio di immagine. Tra gli altri giganti della musica ad aver creduto nei Ricchi e Poveri ci fu soprattutto Franco Califano. «Lui fu il nostro produttore - ricorda Sotgiu -. Credette in noi e decise anche di cambiare la nostra immagine. E così ebbe l'idea di farmi diventare biondo. Quindi mi tinsi i capelli. All'inizio non ero per nulla convinto, ma poi gli diedi comunque retta. Fu una mossa azzeccata, perché in qualche modo tutto questo contribuì a darci una nuova identità: io e Marina diventammo i biondi e Angela e Franco i mori». Qualche anno dopo Pippo Baudo intervistò Giovanna, la mamma di Angelo Sotgiu, naturalmente per parlare del successo del figlio. «Il problema è che anche mia mamma era mora - racconta col sorriso -. E così, per paura di qualche domanda un po' imbarazzante sul colore dei miei capelli, decise di farsi bionda pure lei. Fu un gesto di grande amore».

La storia la fanno anche i numeri. I Ricchi e Poveri hanno venduto un qualcosa come 22 milioni di dischi. L'Italia è sempre l'Italia, ma c'è un posto dove la gente è quasi disposta a strapparsi i capelli per loro: l'Est europeo. Ancora oggi in questa fetta di mondo Angelo Sotgiu e Angela Brambati vengono sistematicamente sommersi dagli applausi. Ma a essere entrato nella storia è il tour in Unione sovietica del 1986: 44 tappe per un totale di 800mila spettatori. «Sì, è vero. Lì ci adorano - afferma Sotgiu -. Ricordo benissimo quel tour, fu un'esperienza fantastica. Fu amore a prima vista. Nonostante il muro di Berlino fosse ancora in piedi, c'era una grande attenzione nei confronti di ciò che accadeva in Italia, soprattutto dal punto di vista musicale. Ancora oggi ci esibiamo spesso in Russia e negli altri paesi dell'est europeo. Ci incontriamo con Al Bano, Toto Cotugno, Pupo, Riccardo Fogli. Tutti artisti con i quali abbiamo stretto una forte amicizia». Invece è da un po' di tempo che i Ricchi e Poveri non fanno tappa in Sardegna, se non nelle mega strutture ricettive frequentate soprattutto dai russi. «Ultimamente non è più capitata l'occasione, ma non nascondo che mi piacerebbe molto». Compagni di viaggio Angela Brambati, per Sotgiu, è diventata come una sorella. «Dopo tutti questi anni non potrebbe essere altrimenti - spiega -. Ormai siamo diventati come parenti. Passiamo tante ore al giorno insieme e naturalmente andiamo sempre molto d'accordo». Poi c'è Franco Gatti, che ha lasciato i Ricchi e Poveri nel 2016 dopo un grave lutto. «È uscito da poco, ma ci sentiamo spesso. Anzi, dobbiamo anche organizzare una cena per festeggiare i 50 anni di carriera - racconta Sotgiu -. Per 48 anni ha girato il mondo con noi, ma poi ha deciso di fermarsi. Sentiva il bisogno di occuparsi della sua famiglia. E penso che abbia preso la decisione giusta».

Infine Marina Occhiena, che uscì dal gruppo nel 1981, prima dei grandi successi degli anni Ottanta. «Con lei ci siamo un po' persi di vista. Ma è normale, sono passati tanti anni e io sono sempre molto impegnato nei tour».

Il mito Maria Carta. Il gallurese dei Ricchi e Poveri, nella vita, si è tolto parecchie soddisfazioni. Ma non è riuscito a coronare uno dei suoi sogni più grandi. «Se c'è una cosa che mi dispiace è non essere riuscito a collaborare con Maria Carta. Molti anni fa mi proposero di fare un disco insieme a lei, con alcune canzoni in sardo. Ero entusiasta, sarebbe stato il massimo. Purtroppo però le case discografiche non mi diedero il permesso. Avrei anche cantato gratuitamente, ma niente da fare. Sarebbe stato un grande onore per me».

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