La Nuova Sardegna

teatro 

Donne in cerca della felicità negata

di Grazia Brundu
Donne in cerca della felicità negata

Successo al Civico di Sassari per il nuovo spettacolo dei Bobòscianèl

14 maggio 2018
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SASSARI. Chi si ricordava i Bobòscianèl delle “Cene con delitto”, di “Keep Calm”, del “Niño peloso” e di altri spettacoli votati al comico e alla farsa, deve essere rimasto abbastanza spiazzato, sabato e domenica scorsi, davanti al loro nuovo lavoro presentato al pubblico del Teatro Civico di Sassari. Con il nuovo show dal titolo “Tutto quello che non ti ho detto”, infatti, la compagnia sassarese si è avventurata in un territorio scivoloso e ultimamente un po’ abusato: quello della nostalgia, della difficoltà a esprimere ciò che si pensa e si è davvero, dei bilanci esistenziali declinati in chiave femminile. Un campo che i Bobòscianèl, assecondando una sana propensione alla leggerezza, avevano finora evitato.

L’esperimento comunque è piaciuto al pubblico del Civico, almeno a giudicare dall’intensità degli applausi. In “Tutto quello che non ti ho detto” Daniele Coni (autore del testo), Laura Calvia e Elisa Casula, in scena con alcuni allievi della loro scuola di recitazione, cuciono insieme una serie di monologhi. Tutti al femminile e in linea con i fatti poco edificanti di cui ogni giorno sono piene le cronache. Protagoniste, donne che, in una società ostile, hanno in comune uno sfasamento tra la loro immagine interiore e quella percepita dal mondo. Donne impossibilitate a farsi guardare per come sono o credono di essere. Soprattutto dai maschi.

C’è la ragazzina bullizzata e spinta sull’orlo del suicidio dai compagni perché non corrisponde ai loro canoni estetici, la donna che dopo la morte del padre prova a riappacificarsi idealmente con lui. Ma ci sono anche la moglie convinta di meritare i maltrattamenti del marito, e ancora l’attrice che getta la maschera per rivendicare la propria libertà di espressione in un mondo omologato.

Tutte – compresa la donatrice di organi che rivive in nuovi corpi – cercano, a volte con eccessi di pathos e qualche ingenuità, di riconquistare una dignità personale e una felicità che il resto del mondo, troppo impegnato a distruggere, vorrebbe invece negare. Sono storie individuali e allo stesso comuni. Spersonalizzate, come il bianco totale della scenografia firmata da Mattia Enna: dai fogli di carta appallottolati sul pavimento, a ricordare le parole inespresse del titolo, sino alle strutture di tela di varie dimensioni, sospese ad altezze diverse, che si accendono al ritmo degli stati d’animo suggeriti dalle luci di Tony Grandi. Di un bianco senza sfumature sono anche i vestiti degli attori, disposti come un coro muto, che di volta in volta suggerisce l’immagine di un gruppo di auto aiuto o quella di un branco di persecutori anonimi.

Dal loro centro si staccano, rigorosamente a turno, i personaggi di Coni, Calvia e Casula per raggiungere il proscenio e raccontare la propria storia. Bianchi anche loro, come fogli passati al bianchetto e in attesa di una riscrittura.

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