La Nuova Sardegna

Aragosta, lo scrigno rosso degli chef

di Giovanni Fancello
Aragosta, lo scrigno rosso degli chef

Ricette e consigli da Nord  a Sud dei ristoratori Carbonella, Corona e Pinna 

19 maggio 2018
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L’aragosta, regina del mare e dei crostacei, dall’acceso colore rosso, fa in fretta a perdere gli onori tra le mani di un ispirato cuoco. Il suo destino da regnante, si può tramutare in un battibaleno in un inferno. Ancora viva viene steccata, legata e immersa, senza pietà, in una pentola con abbondante acqua bollente. Ma la sua avvenenza regale non termina con la sua dipartita, anzi continua e da regina del mare si tramuta in agognata regina del gusto. La sua polpa, dalle chiacchierate proprietà afrodisiache, è ambita da tanti goduriosi. Per gustarla appieno è necessario abbandonare le posate e compiere gesti lussuriosi: prenderla con le mani e succhiare le prelibate articolazioni. L’aragosta femmina è la preferita dagli intenditori per la sua polpa, compatta e delicata e per le sue deliziose uova.

Vive in diversi mari, ma la più pregiata è quella del Mediterraneo, dove raggiunge una pezzatura ridotta ma dalle carni succulente. La si deve acquistare sempre viva e deve passare subito in cucina, perché le sue carni sono facilmente deperibili. «Nel 1975 quando ho aperto il mio ristorante Al Tuguri ad Alghero – esordisce il patron Benito Carbonella – l’aragosta costava intorno alle 1500 lire a chilo, un ottimo prezzo; infatti lo stipendio medio si aggirava intorno alle duecentomila lire – continua Carbonella –. Ad Alghero la pesca dell’aragosta professionalizzata fu praticata alla fine dell’Ottocento da Gabriel Arguimbau Ferrer, originario di Minorca. Sapeva che l’aragosta nei mercati di Barcellona, Marsiglia, Parigi e Londra, era un vero business. Con una goletta intraprese un fiorente commercio internazionale. Raccoglieva il crostaceo tra i pescatori della costa ovest dell’isola: da Stintino fino oltre Oristano. La stagione della pesca iniziava in primavera e si protraeva sino a Ferragosto. Le barche avevano una stiva allagata dove alloggiavano le aragoste vive. Col mare mosso qualcuna moriva e i mozzi le appendevano all’albero della barca. Finita la pesca, le aragoste morte servivano per preparare una zuppa: “guisat de llagosta”». Com’è oggi il mercato algherese di aragoste? «Oggi si va al mercato cittadino – aggiunge Carbonella – si acquistano dai pescatori al banco e il prezzo si aggira intorno ai 65 euro al chilo. In Stagione si superano i 100 euro e le più gustose le pescano sotto le falesie di Capo Caccia. Io preferisco lessarla, per poco tempo, in acqua e un goccio di aceto e condirla “all’algherese”: con una emulsione di olio evo, succo di limone e le sue uova se è femmina o col succo della testa se è maschio». L’aragosta rossa è attiva soprattutto di notte e il periodo migliore per la sua pesca è l’estate. Si riproduce una sola volta l’anno e la deposizione delle uova ha luogo da agosto ad ottobre. «Le aragoste migliori si pescano a Su Pallosu dove ci sono i pescatori del crostaceo, vicino a Putzu Idu – riferisce Renzo Corona del ristorante Da Renzo a Siamaggiore –. Ora il suo costo è di circa 60 euro a chilo e ad agosto può raggiungere gli 80 euro. Noi nell’Oristanese le trattiamo in modo diverso dal resto dell’isola: le lessiamo in acqua bollente e le serviamo fredde con una emulsione di buon olio, le sue uova e un goccio di aceto buono. Le cuociamo anche alla brace e le condiamo con un filo d’olio». Metodi essenziali per preparare il crostaceo. Il dibattito, però, si accende se si parla della preparazione “alla catalana”. «Ne sento sempre delle belle sull’aragosta alla catalana – aggiunge Renzo Corona–. La ricetta è stata inventata a Oristano dal ristoratore Gino, negli anni ’60 del secolo scorso. Aveva una piccola trattoria in via Tirso e condiva l’aragosta con pomodoro e cipolla e la chiamava “alla catalana”. Avrebbe potuto chiamarla “all’oristanese” e così non ci sarebbero state questioni». Anche a Castelsardo si hanno racconti curiosi: «Negli anni ’50 del secolo scorso i coltivatori del fagiolo “Gioghedda”, erano soliti scambiare un chilogrammo dei preziosi fagioli con un chilogrammo di aragosta pescata nel mare antistante Castelsardo», è Renato Pinna del ristorante Il Cormorano che ce lo rivela. Aneddoti o pettegolezzi a parte, l’aragosta è un piatto molto ambito, status symbol apprezzato dai sardi e dai turisti; ed i campanilismi, in fondo, rendono la regina del mare ancora più preziosa e desiderabile.

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