La Nuova Sardegna

I versi di Pietro Soddu Sentieri che portano dal privato al pubblico

di Giacomo Mameli
I versi di Pietro Soddu Sentieri che portano dal privato al pubblico

In libreria la raccolta “Il fuoco ha bruciato le siepi di confine” Un tempo senza certezze che chiede di sperimentare il nuovo

21 maggio 2018
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Dopo la prosa, dopo i dialoghi proposti sotto forma teatrale, Pietro Soddu – sì, Soddu il presidente della Regione, Soddu il deputato, Soddu il sindaco di Benetutti, Soddu il presidente della Provincia di Sassari, Soddu l’amante dell’arte e delle letture – è tornato alla poesia. Aveva esordito due anni fa con “Il tramonto non dice mai il vero”. Adesso propone “Il fuoco ha bruciato le siepi di confine”, edizioni Edes, 122 pagine, 10 euro, una bella copertina con un acquerello di Rosanna Rossi, all’interno incisioni di Nino Dore. E poi 99 poesie divise in quattro capitoli che già loro – per l’uso sapiente del linguaggio - dànno il senso di un turbinio di sentimenti lunghi una vita, quasi novant’anni.

La prima parte ha per titolo “Talvolta ti aiutano i sogni” perché sono questi che “vengono in soccorso” all’uomo “quando si sente perduto” mentre “il tempo sembra scorrere inesorabile” riproponendoci allo stesso tempo le Georgiche di Virgilio attualizzate Black Metal by Spektr. È in questa sezione che ci ricorda «il senso del giorno, a lungo incerto e oscuro come un codice nuragico». Poi altre tre parti: “L’ora è questa” con 23 poesie, “Vago è il senso del tempo” con 27, per chiudere con “Ogni volta che guarda il mare” con altre 23 composizioni. Non ci sono rime, la metrica è solo quella voluta da Soddu, giambi e ditirambi spontanei costruiti sotto i monti del Goceano, sulle sponde delle terme di san Saturnino, vivendo ovunque, sospesi tra «sole alto e cielo chiaro» tra «menti sospettose» e un «testimone reticente». Sembra voler focalizzare questo tempo senza certezze, questo tempo con democrazie che tendono a sbriciolarsi. Ed ecco perché si inseguono «nuvole cariche di tuoni e lampi». Ma quello di Soddu non è mai un cielo di sole tenebre, non lo era per il Soddu politico che sognava e lavorava per la Rinascita, non lo è per il Soddu poeta perché anche oggi, invita a «sperare comunque che presto tornerà il sereno». Sa bene che la vita è una fatica, si è convinto che è bene «vincere la paura dell’ignoto» perché «la notte passerà» e «non farà buio per sempre».

Novantotto poesie di vita vissuta intensamente, novantotto poesie di amori esaltanti o lancinanti, di sguardi dal paese verso il mondo. Forse c’è più il paese che la città. C’è l’uomo, la sua psiche e la sua quotidianità. Il tutto, pagina dopo pagina, titolo dopo titolo, («Si sveglia pensando al suo viso» ma anche un dolcissimo «Tornate, amate cose antiche, da sempre sognate») in un’alternanza di ottimismo e pessimismo, e soprattutto di realismo.

Un poeta degli inquieti anni che scorrono. Sociologo o politologo? Dice che «il tempo dell’attesa non è tempo perso». E Soddu – che è intelletto fervido – paragona «l’immobilità della mente” alla “tela tessuta dal ragno» per concludere che tutto ciò «assicura una bassa entropia, né richiede manutenzione».

Quando le parole volano verso il buio, è sempre mitigato perché alla fine domina sempre la speranza o, almeno la voglia di sperare, di cambiare il mondo. Le metamorfosi non incupiscono Pietro Soddu: gli aprono spiragli, orizzonti nuovi. Legge le difficoltà universali ma invita ad affrontarle con forza vitale. Ha paura che «il vento soffierà non più solo su tutto quel che è morto» perché «più violento si abbatterà su quello che vive». Ma è lo stesso Soddu-poeta a ricordarci che «l’acqua del fiume continua a scorrere come sempre». E tornerà «l’eterno canto delle stelle» col «respiro lieve della speranza dei giorni che stanno per arrivare».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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