La Nuova Sardegna

Arriva “MaMuMask” Le maschere sarde si aprono al mondo

di Stefania Vatieri
Arriva “MaMuMask” Le maschere sarde si aprono al mondo

Dal 15 al 17 a Mamoiada il festival delle identità popolari Ospite d’onore il gruppo portoghese di Caretos di Podence 

09 giugno 2018
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NUORO. Dalla patria dei Mamuthones e Issohadores prende il via il primo Festival Internazionale delle Maschere: MaMuMask. Per tre giorni, dal 15 al 17 giugno, Mamoiada sarà la Capitale dell'identità e delle culture popolari, con il chiaro obiettivo di individuare attraverso convegni, sfilate, cibo, cultura e danza il genius loci, il valore del luogo, legato al patrimonio immateriale e materiale. Sostenuto dalla Fondazione di Sardegna, dal Banco di Sardegna, dal Distretto Culturale del Nuorese e dall’Isre, Istituto Superiore Regionale Etnografico, il festival MaMuMask, presentato ieri mattina nella sala conferenze dell'Isre di via Pandrea, è un ambizioso progetto che mescola al suo interno identità e differenza, tradizione e innovazione.

Il Festival sarà anche l’occasione per restituire ai visitatori del Museo del Costume la sala delle maschere del carnevale chiusa dal 2015. Durante l’evento infatti, l'Isre inaugurerà la sezione dedicata al Carnevale tradizionale sardo, raccontato nel mondo contemporaneo attraverso un ciclo di convegni tematici. «Siamo orgogliosi di presentare un appuntamento che si candida a essere uno dei festival più importanti dell'isola – ha commentato il presidente dell'Isre Giuseppe Pirisi, durante la presentazione dell'evento –. Si tratta di eventi culturali di grandissima importanza, con pesanti ricadute sul territorio Noi abbiamo colto l'occasione per inaugurare la sala del Museo dedicata alle maschere del carnevale barbaricino, che oggi risorge più bella e splendente che mai». La nuova sala include anche un settore dedicato agli strumenti musicali «che completa l'allestimento del museo – aggiunge Franca Rosa Contu, responsabile del settore museo dell'Isre – . Siamo molto soddisfatti del lavoro svolto e di questo traguardo a cui abbiamo lavorato per far sì che la sala venisse apprezzata in tutta la sua bellezza. Nel corso dell'inaugurazione sarà esposta anche la maschera di “Su Bundu” che apparirà per la prima volta su manichino». L'importante appuntamento dunque sarà incentrato sul significato delle maschere nel mondo passato e in quello contemporaneo, sotto il profilo antropologico, psicologico, estetico, simbolico, ma anche un luogo di convivialità e socialità. Un modo quindi per confrontarsi, incontrarsi e stare insieme. «Il progetto, dalla forte valenza territoriale, è nato dall’iniziativa della cooperativa Viseras, che gestisce il Museo delle Maschere, e della Pro Loco, due associazioni accomunate dal desiderio di far conoscere le maschere oltre l’isola – aggiunge Mario Paffi, responsabile del Museo delle maschere di Mamoiada –, con l'intento di creare un evento che riesca a unire le energie e le passioni di molti, per conquistare un pubblico sempre più ampio e attento».

Il festival sarà così una “tre giorni” che vedrà in campo numerosi interpreti della cultura e della tradizione isolana e internazionale. A partire dai maestri mascherai che illustreranno l'antica arte artigiana, fino all'apertura delle cantine nell'evento “Notte Nighedda”, in programma sabato dalle 18. Domenica sarà la volta delle maschere tradizionali che sfileranno dalle 17: Mamuthones e Issohadores di Mamoiada, Boes e Merdules di Ottana, Thurpos di Orotelli e Caretos di Podence dal Portogallo. «Il filo conduttore dell'iniziativa sarà l'analisi del mascheramento a livello europeo – ha concluso Paolo Piquereddu, coordinatore regionale dell’ Icom ( International council of museums) –, in funzione di questo sono stati organizzati numerosi appuntamenti con studiosi ed esperti del settore che racconteranno la nascita e l'evoluzione delle maschere». Durante il festival MaMuMask l’Isre infatti dedicherà un ciclo di convegni dedicati al Carnevale, alla presenza di illustri ospiti nazionali e internazionali come Iglika Mishkova, etnologa del National Ethnographic Museum di Sofia, Giovanni Kezich e Antonella Mott.

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