La Nuova Sardegna

Il vento selvaggio che modella la nostra cultura

Il vento selvaggio che modella la nostra cultura

Le persone, le campagne e le città proprio come le montagne e i boschi sono modellate dal vento. È un paesaggio umano e naturale sempre mutevole, che l’inglese Nick Hunt attraversa in “Dove soffiano...

09 giugno 2018
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Le persone, le campagne e le città proprio come le montagne e i boschi sono modellate dal vento. È un paesaggio umano e naturale sempre mutevole, che l’inglese Nick Hunt attraversa in “Dove soffiano i venti selvaggi”, edito da Neri Pozza (304 pagine, 17 euro): un reportage di viaggio in solitaria, letterario e meteorologico, sulle tracce di Helm, Bora, Föhn e Mistral, venti mitologici che tagliano e uniscono l’Europa come antichissime vie. «Mi affascinava l’idea di qualcosa di invisibile che ha un effetto profondo sulle persone e il territorio, un potere invisibile che tocca agricoltura, architettura e religione», racconta Hunt, arrivato in Italia per alcuni incontri letterari. I suoi cammini donchisciotteschi a caccia dei venti sono tra foreste e campi, ma non è solo qui che si misura l’effetto di questi antichi “spiriti”: «La vita urbana moderna ha cercato di eliminare l’influenza degli effetti atmosferici: porte e finestre ci vogliono proteggere, ma in qualche modo è un tentativo fallimentare. Si nota a Trieste con la Bora, o in Svizzera: qui quando soffia il Föhn per qualche ragione si registrano più crimini e suicidi».

Tra citazioni di Schiller e Tolkien, tra le poesie di Rainer Maria Rilke e le lettere di Joyce o di Van Gogh, Hunt unisce passato e presente misurandoli con il mito e il folklore: «Conferire un carattere positivo o negativo ai venti è cosa antica, e molti disapprovano in quanto antiscientifico. Ma io mi sento vicino all’antropomorfizzazione: in un’era in cui siamo sempre più separati dalla natura, è interessante notare quanto ancora ci sentiamo immersi nel clima, ad esempio quando diciamo che la pioggia è deprimente». E questo ha esiti di straordinaria attualità: «Nel viaggio della Bora ho notato che esiste una xenofobia dei venti: la Bora da nord è percepita come positiva e rinfrancante, mentre lo Jugo da sud è ritenuto foriero di malattie. In quel momento ero al confine con la Croazia, nel bel mezzo della crisi migratoria: mi sembrava che le persone incontrate parlassero dello Jugo come si parla dei rifugiati».

Di questi pensieri Hunt rintraccia le origini: «Ippocrate credeva che gli abitanti di regioni troppo fredde o calde fossero inevitabilmente esposti alla barbarie, gli inglesi lo dicevano dei popoli mediterranei, e questo pensiero in fondo esiste ancora: Grecia, Italia e Spagna sono percepiti dai nordici come paesi pigri. Sembra ridicolo se si pensa che la civiltà europea è nata qui: il clima ha effetti sull’uomo, ma sono storici, non permanenti», spiega l’autore 37enne, che nei prossimi viaggi intende proprio indagare la natura più indomabile e selvaggia dell’Europa.

Un continente attraversato da tribolazioni e cambiamenti, così come i venti mutati dal riscaldamento globale: «Il cambiamento del clima non potrà che comportare un diverso approccio culturale ai fenomeni atmosferici. Come le stagioni degli uragani più lunghe nei Caraibi e sulla costa orientale americana, o le tempeste più frequenti e imprevedibili in Gran Bretagna: le forze stagionali non sono più affidabili, e questo non può che suggerire un senso di incertezza e instabilità, dall’agricoltura in giù».

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