La Nuova Sardegna

Luigi Fassi (Man): la Barbagia come un’opera d’arte

di Paolo Curreli
Luigi Fassi (Man): la Barbagia come un’opera d’arte

«Ho cercato di viaggiare, nel poco tempo libero lasciato dagli impegni della programmazione del Man – racconta Luigi Fassi –, mi sono guardato intorno per scoprire una Sardegna che non conoscevo, per...

16 giugno 2018
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«Ho cercato di viaggiare, nel poco tempo libero lasciato dagli impegni della programmazione del Man – racconta Luigi Fassi –, mi sono guardato intorno per scoprire una Sardegna che non conoscevo, per me ignota». Dopo il concorso che lo ha portato dal mondo più aggiornato dell’arte di oggi, dall’America all’Austria, alla direzione del museo di arte contemporanea di Nuoro, Fassi è andato incontro «con curiosità e sincera umiltà» a quell’universo-Barbagia ritenuto da molti ancora lontano e isolato dai flussi della cultura globale e, invece, sempre dove meno te l’aspetti, così ricco di sorprese e cultura. Alcune delle prime scoperte, per Fassi, sono avvenute per una di quelle casualità della vita che creano situazioni e prospettive inaspettate. «Un giorno seguivo le indicazioni del navigatore – racconta il critico e storico dell’arte –. Ho sbagliato, e mi sono ritrovato a Monte Gonare, a quel punto, affascinato dalla bellezza dei boschi e del paesaggio, sono sceso dall’auto e ho raggiunto a piedi la chiesa in cima. Una vista bellissima che mi ha aiutato ad entrare in un altro contesto con il privilegio di uno sguardo assolutamente vergine».

Meravigliosa solitudine

«È la prima volta che vengo a soggiornare in Barbagia e non ho quindi nemmeno la memoria dell’isola vacanziera che hanno tanti in Italia. Un grosso vantaggio. Quel giorno, dopo Gonare, sono così finito a Mamoiada e Orani prima di raggiungere Gavoi, l’obiettivo del mio tragitto. Sabato scorso, visitando la zona di Siniscola, ho percorso la strada sterrata che mi ha portato fino alla meravigliosa solitudine della spiaggia di Berchida ormai al tramonto. Questi sono alcuni esempi degli imprevedibili percorsi che mi hanno arricchito e incuriosito in queste settimane. Tra questi anche la scoperta, lavorando alla programmazione delle prossime mostre, di quanto la Sardegna sia presente nelle esperienze di tanti artisti di oggi. Tutte storie che riveleremo con i nostri prossimi progetti». C’è poi la scelta di Gavoi per la prima mostra. «Avevo già parlato del Festival delle Storie di Gavoi con Marcello Fois – aggiunge il nuovo direttore del Man –, ero molto interessato dalle loro scelte di temi sempre originali, e dalla volontà del festival di immergersi in storie e narrazioni. Gavoi e Isola delle Storie mi sono sembrati il luogo adatto per accogliere la prima mostra che ho voluto pensare per il Man». È “100 Years” di Hans Peter Feldman, una delle personalità fondamentali dell’arte contemporanea. «Il progetto nasce da una telefonata di Marcello Fois a inizio aprile che mi invitava a proseguire anche nel 2018 il rapporto tra il Man e Isola delle Storie. In quel momento non ero ancora a Nuoro e non avevo ancora visto Gavoi. L’idea di costruire una mostra nel contesto di un Festival letterario, un universo meraviglioso di lettori scrittori e tante storie, è stato subito uno stimolo molto importante».

Persistenza dei ricordi

«Da qui l’idea di presentare un progetto che potesse dialogare naturalmente con la letteratura e la sua volontà di raccontare la vita in tutte le sue particolarità. Ma un secondo elemento è entrato in gioco. Il programma del Man accompagnato dalla mia direzione inizierà solo a novembre e ho voluto cogliere l’occasione di Gavoi per potermi attivare subito presentando un progetto forte, che avremmo potuto ospitare al Man come fulcro di un’intera stagione espositiva. Abbiamo invece optato per la più piccola Gavoi, nella volontà di donare per alcune settimane al paese e a Isola delle Storie un capolavoro dell’arte contemporanea europea, i “100 anni” di Hans Peter Feldmann, un artista tedesco di enorme influenza e tra i più celebrati della sua generazione (è nato nel 1941). Il progetto è stato pensato e curato insieme ad Alberto Salvadori ed è stato reso possibile grazie al generoso prestito dell’opera di Feldmann da parte di una delle più straordinarie collezioni di arte contemporanea italiane ed europee, quella di Enea Righi a Bologna, presente in questa occasione per la prima volta in Sardegna». È la memoria il fulcro del lavoro di Feldmann e tra le case di Gavoi la persistenza dei ricordi, di un mondo che pare immutabile, sembra incisa nel granito. «Certo, “100 anni” racconta la vita umana nella sua coralità e irripetibilità attraverso 101 individualità dalle 8 settimane ai 100 anni di età. Il tempo, la vita, il passaggio delle stagioni, la fuggevolezza del presente, sono tutti elementi trattati da Feldmann fotografando queste persone dalla sua cerchia di amici e conoscenti». Una proposta che sta avendo un ottimo riscontro di pubblico e che piace agli abitanti del paese barbaricino. «In un pranzo al ristorante Santa Rughe di Gavoi ho conosciuto una bellissima signora di 97 anni, e ascoltando il sardo affascinante che parlava, ho chiacchierato in italiano con lei. Mi è parso un incontro in linea col percorso umano proposto da Feldmann – sottolinea Luigi Fassi – e la sua volontà di farci incontrare con la meraviglia della quotidianità come trama di vita. Penso che portare nel territorio fuori dal Man progetti di altissima qualità sia un fatto importante per comunicare come il Museo non sia solo di Nuoro ma di una comunità più ampia. Un museo di arte contemporanea come il Man deve fare anche questo: incrociare storie in luoghi e sedi diversi e accompagnare il suo pubblico a scoprire come gli artisti sanno aiutarci a raccontare il tempo presente. L’arte si rivela così un fatto decisivo della vita: ciò che ci aiuta a comprenderla come un’esperienza preziosa e unica. Proprio quello che ci comunica “100 anni” di Feldmann». Una Sardegna fatta uomini, lontana dall’esotismo. «Recentemente mi hanno colpito le immagini della Barbagia nelle foto di Leopold Wagner in mostra all’Isre, simili a quelle del poco conosciuto viaggio nuorese e sardo di August Sander della metà degli anni Venti. O la pubblicazione in italiano del viaggio immaginario di Lord Byron in Sardegna del 1824, esempio di un esotismo desiderato e mai vissuto».

Narrazioni dimenticate

«L’esotismo è un’arma a doppio taglio, che racconta luoghi diversi lontani dalla storia in forma romantica ma che spesso è servito a legittimare una cultura coloniale». Qual è il volto dell’isola che interessa al nuovo direttore del Man? «Quella che ha molto da insegnare, l’isola della conservazione del latino arcaico e della mescolanza delle lingue. La Sardegna che conserva un patrimonio inestimabile che guarda al Mediterraneo dei fenici e di tanti altri popoli. Un mondo pieno di racconti e narrazioni troppo spesso dimenticato. Il richiamo profondo dei miti di Costantino Nivola, che diventa cittadino newyorkese senza perdere la sua identità mediterranea». Una visione alternativa a molti sentimenti che si respirano nell’attualità europea di oggi, quella di Luigi Fassi: «L’Europa sta cambiando radicalmente, come tante volte nel corso della sua storia. Le emigrazioni di popoli ne hanno sempre mutato profondamente l’aspetto e questo si ripete nel nostro presente. L’arte ha saputo interpretare il fenomeno: la grande mostra Documenta di Kassel si è divisa l’anno scorso a metà tra la città tedesca e Atene in Grecia; Manifesta, la biennale d’arte europea con sede ad Amsterdam, aprirà nei prossimi giorni a Palermo. È evidente nell’arte la necessità crescente di guardare al Mediterraneo come anima dell'Europa e via di accesso privilegiata a una più consapevole riflessione sul nostro tempo. «La tentazione di molti italiani di volersi pensare come nordeuropei è un errore di prospettiva – sottolinea ancora Luigi Fassi –. La nostra storia è mediterranea, e riconoscerlo oggi è decisivo, specie in un momento di difficoltà del nostro Paese. Penso agli studi di Roberto Dainotto, professore siciliano attivo alla Duke University negli Stati Uniti (sarà a settembre alla Summer School gramsciana di Ghilarza) e alle sue ricerche sulla genealogia del primato morale dell'Europa del nord. Nel Settecento con Hegel e Montesquieu si consuma una scissione tra la civiltà di origine greco-latina e quella franco-carolingia. La prima è presentata come irrazionale e tribale, in confronto alla razionalità vincente della seconda, quella delle nazioni del nord Europa. Questo conflitto lo abbiamo visto risorgere con virulenza nel confronto di pregiudizi tra la Germania e la Grecia durante la crisi di Atene e il dibattito sulle politiche dell'austerità. Penso perciò sia importante riscattare l’idea di ciò che significa essere mediterranei e anche in questo la Sardegna e la sua storia hanno molto da insegnare. Senza fare troppi pensieri astratti – conclude Fassi – la realtà è che l’Europa come la conosciamo non sarà più la stessa, e provare a sentirsi consapevolmente mediterranei può essere un modo per guardare con più ottimismo al futuro».



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