La Nuova Sardegna

Al Museo Nivola le sculture senza fine di Tony Cragg

di Marco Vitali
Al Museo Nivola le sculture senza fine di Tony Cragg

Sabato a Orani l’inaugurazione di “Endless Form”  Le opere dell’artista inglese per la prima volta in Sardegna

28 giugno 2018
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ORANI. La mostra “Endless Form”, organizzata dal Museo Nivola, porta per la prima volta in Sardegna le opere di uno dei più grandi scultori contemporanei, Tony Cragg.

Nato a Liverpool nel 1949, Cragg è noto soprattutto per la sua incessante sperimentazione su forme e materiali. Formatosi alla Wimbledon School of Art e al Royal College of Art di Londra, dal 1977 vive e lavora a Wuppertal, in Germania. All’inizio degli anni Ottanta passa gradualmente dall’installazione alla scultura come oggetto autonomo. Nel 1982 e nel 1987 partecipa a Documenta a Kassel e nel 1988 rappresenta la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia; nello stesso anno riceve il prestigioso Turner Prize. Eletto Chevalier des Arts Lettres nel 1992, membro della Royal Academy nel 1994, premiato con il Praemium Imperiale per la scultura dalla Japan Art Association nel 2007, Cragg è stato più di recente nominato Fellow dell’University of the Arts di Londra (2012); premiato con la Medaglia d’onore per l’arte dell’Hermitage, in Russia (nel 2012) e ha anche ottenuto l’Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania (nel 2012). Nel 2016 è statonominato Cavaliere d’Inghilterra. Dal 2006 al 2014 è stato il direttore della Kunstakademie di Düsseldorf, una delle più prestigiose dell’intera Germania.

Con la mostra “Endless Form”, che inaugura sabato alle 18,30 e chiuderà il prossimo 30 settembre, il Museo Nivola continua, a partire dall’eredità di Costantino Nivola, nell’esplorazione della scultura come strumento di confronto con lo spazio, indagine sulla forma e i materiali, come pratica artistica in grado di incidere sulle dinamiche culturali e sociali del nostro tempo. In uno spazio inondato di luce, le monumentali sculture di Cragg dialogano fra loro, con il contesto architettonico e - idealmente - col paesaggio visibile attraverso gli archi delle grandi finestre. Volumi al tempo stesso imponenti e lievi, le opere prendono saldamente possesso dello spazio senza per questo sembrare statiche; al contrario, appaiono in costante mutamento, assecondando l’inclinazione dei raggi luminosi e i movimenti dell’osservatore intorno ad esse.

Sono oggetti dinamici che hanno in sé la traccia del processo che li ha prodotti: un processo che parte dal disegno, non di rado figurativo, e incontra la materia lasciandosi guidare dalla sua forza interna. Come afferma Cragg, «anche se non c’è niente di lineare, ogni cosa genera qualcos’altro. Nel materiale stesso c’è una specie di energia che si auto-propaga e si auto-genera». In alcuni casi le opere appaiono come il risultato di un movimento di rotazione, in altri come l’esito di un accumulo, in altri ancora di tagli e torsioni esercitati sulla materia. Si sviluppano in verticale sfidando apparentemente la gravità (è il caso delle due alte colonne lignee di “Pair”, 2015, o dell’esile spirale d’acciaio di “Zimt”, 2014), oppure offrono allo sguardo una molteplicità di anfratti e stratificazioni (“Caught Dreaming”, 2006); o ancora disegnano strutture permeabili alla luce e all’atmosfera (“Hedge”, 2008). Eredi della teatralità barocca, della capacità di interazione con lo spazio del Minimalismo, del dinamismo futurista, i lavori di Cragg fanno appello, al di là della dimensione visiva, a quelle tattile e motoria: sono oggetti cinestetici le cui superfici invitano al tocco e le cui forme chiamano in causa il corpo del visitatore, guidandone i passi nell’ambiente. In genere si tende a pensare alla scultura come a un puro fatto di forma, massa e volume; nel caso di Cragg tuttavia la qualità della superficie, la sua consistenza e il suo colore sono altrettanto importanti.

Forme tra loro affini ci colpiscono come totalmente differenti grazie alle variazioni di finitura che rendono la pelle della scultura di volta in volta calda o fredda, liscia o ruvida, lucida o opaca. Brillanti come la carrozzeria di una Buick anni Cinquanta o rugginose come la carena di una nave in disarmo, le opere di Cragg combinano associazioni con l’estetica della macchina ad evidenti richiami al mondo organico. Sono sculture che sembrano obbedire alle stesse leggi naturali che governano gli organismi viventi: si evolvono l’una dall’altra, crescono su se stesse; varie e mutevoli in contrasto con la ripetitività degli oggetti industriali-, reagiscono e si modificano a contatto con l’atmosfera che le circonda. Da qui anche l’astratta sensualità che le caratterizza: sono oggetti erotici, di un erotismo che deriva tanto dalla flessuosità dei loro volumi curvilinei e dalla seduzione tattile delle superfici quanto dalla loro latente origine antropomorfa (molte di esse derivano dalla trasformazione di volti o membra umane).



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