La Nuova Sardegna

Motta, energia e classe senza età

di Grazia Brundu
Motta, energia e classe senza età

Il concerto del cantautore livornese ha chiuso la rassegna: «Aspettavo da tempo di suonare qui»

16 luglio 2018
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SASSARI. Non capita tutti i giorni di avere Motta e Carolina Crescentini che ti cantano “Buon compleanno” in tempo reale. Sabato sera è successo a un fan del cantautore livornese. Quando, dopo un concerto generoso e pieno di energia, Motta è sceso dal palco e, non ancora stanco, ha continuato a cantare e suonare la chitarra per un’altra ora. In mezzo a un cerchio di ragazzi e ragazze, nell’arena di Piazzale Segni trasformata in una specie di spiaggia metropolitana sotto le stelle.

Nel coro, anche Carolina Crescentini, bellissima e solare, che fino a quel momento aveva aspettato il suo Francesco seduta in prima fila. E che adesso, con lui, farà «un po’ di giri in Sardegna. Poi mercoledì andremo al Festival di Tavolara», dice l’attrice romana, per la proiezione di “Diva!” di Francesco Patierno, che la vede nel cast insieme a Barbara Bobulova e Isabella Ferrari. Concerto e fuori programma di Motta hanno chiuso con un picco di entusiasmo l’edizione numero venti del festival Abbabula organizzato dalle Ragazze Terribili, e l’autore di “La fine dei vent’anni” (Targa Tenco 2016 per il migliore disco d’esordio) e “Vivere o morire” (Targa Tenco 2018 per il miglior disco in assoluto) non si è risparmiato per niente. Sarà che «è veramente difficile venire da queste parti. Scusate se non sono venuto prima, e grazie alle organizzatrici di questo evento bellissimo per avermi invitato – ha detto il cantautore toscano tra un brano e l’altro – ma stasera ho una smania di suonare come non mi succedeva da tempo». Si è visto e il pubblico, in prevalenza formato da trentenni e quindi coetanei del livornese, classe 1986, se n’è accorto. L’entusiasmo non è mai calato, anche grazie alla straordinaria capacità di Motta, con quel fisico magrissimo e spigoloso, di muoversi un po’ invasato sul palcoscenico catalizzando completamente l’attenzione. Con il supporto di un’ottima band formata da Federico Camici al basso, Giorgio Maria Condemi alle chitarre, Leonardo Milani alle tastiere, Simone Padovani alle percussioni e Cesare Petulicchio alla batteria.

In due ore di musica Motta ha alternato brani del primo e del secondo album da solista. Iniziando con “Ed è quasi come essere felice” e finendo con “E mi parli di te”, secondo pezzo (dopo “Mio padre era comunista”) dedicato al padre. Anzi, al babbo, come si dice a Livorno. In mezzo, “La fine dei vent’anni”, “Quello che siamo diventati”, “Vieni via con me”, “Vivere o morire”, “Prima o poi ci passerà”, “E poi ci pensi un po’” e anche un brano, “Fango”, del periodo con i Criminal Jokers. Tra una canzone e l’altra, una gran voglia di raccontarsi. Parla dell’età che avanza (ma a vederlo non è credibile): «Non ho più il fisico per fare stage diving, l’ultima volta che ci ho provato mi sono fratturato un tallone – dice - ma non me ne importa niente, perché l’importante è riconoscersi nell’età che si ha. Io ci sto provando, provateci anche voi» e della necessità di non adeguarsi a quello che la società si aspetta da te: «Le note giuste non le ho mai trovate e spero di non trovarle mai». Poi c’è l’amore, anche se, ammette Motta, «io sono un tantino insopportabile e mentre lavoravo al nuovo album mi è capitato di sbroccare con l’unica persona che in quel periodo mi è sempre stata accanto». Carolina, nel pubblico, sorride: «Lui non è sempre facile, però è una persona per bene, è un puro». È l’amore alla fine dei vent’anni.

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