La Nuova Sardegna

L’effetto “Lost” e la rivoluzione delle serie tv

di Fabio Canessa
L’effetto “Lost” e la rivoluzione delle serie tv

Domani alla Maddalena l’autore Luca Restivo «È la storia, anche al cinema, a fare la differenza»

22 luglio 2018
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SASSARI. Per la prima volta “Sulla terra leggeri” approda alla Maddalena. Tra i protagonisti della serata, domani dalle 20.30 in Piazza Garibaldi, anche l’autore e conduttore radio televisivo Luca Restivo. Argomento della sua breve lezione: le serie tv, fenomeno di massa del nuovo millennio. Punto di partenza “Lost” che con la sua apparizione, nel 2004, ha cambiato il modo di approcciarsi alla serialità. «Per i numeri, per la popolarità che ha avuto – sottolinea Restivo – ha acceso un nuovo interesse per le serie tv. C’erano già stati segni di cambiamento prima con altre serie, ma con “Lost” questa cosa è diventata mainstream. Ha permesso a un pubblico larghissimo, quello del network generalista americano, di apprendere nuove modalità del racconto seriale. Con una narrazione più articolata, una continuità temporale non semplice, protagonisti complessi, una trama tutt’altro che lineare».

Da allora il successo delle serie tv ha continuato a crescere. Per quali motivi?

«Perché ci sono storie fatte molto bene, per il respiro largo ma non infinito che hanno, perché ti permettono di vedere una cosa intelligente senza investire troppe ore consecutive se non si ha tempo e voglia».

Una volta per questo si andava al cinema. La sala ha ormai perso il confronto con la televisione?

«Alla fine vincono sempre le belle storie, al cinema o in televisione. E oggi i confini sono meno netti: il film sugli “Avengers” campione di incassi di quest’anno fa parte di una lista di episodi della Marvel che possono essere percepiti come una serie. E molte miniserie, penso a quelle inglesi, hanno il sapore di un film in sei ore, diviso in sei tempi. La crisi delle sale è secondo me legata soprattutto alla possibilità di vedere i film a casa, in maniera legale e più economica, ormai pochissimo tempo dopo l’uscita al cinema».

E oggi c’è anche Netflix. Cosa ha cambiato?

«Ha dato al pubblico la possibilità di seguire più cose e senza il limite per cui bisogna aspettare una settimana per vedere un altro episodio. E questo ha portato al fatto che le serie possono anche non basarsi più su un cliffhanger finale a ogni puntata. Con la possibilità della visione continuativa lo spettatore può gestire la tensione narrativa della serie».

Ma il suo amore per le serie com’è nato?

«Anche se ero molto piccolo ricordo “Visitors”, cult degli anni Ottanta. Poi la passione è tornata forte con “I Soprano” nei primi anni Duemila».

Tre titoli imperdibili da far vedere a chi non è ancora entrato nel mondo del racconto televisivo seriale?

«Sicuramente “Lost”, “Breaking Bad” e “Game of Thrones” sono dei pilastri».

Tra le nuove quali consiglierebbe?

«Per chi ama le prove da attore c’è “Patrick Merlose” con protagonista Benedict Cumberbatch che racconta la vita dissoluta di un ricco ereditiere inglese e il suo rapporto con il padre. Per chi vuole brividi estivi una chicca è “Room 104”, serie antologica episodi di circa venti minuti, tutti ambientati in una stanza d’albergo. Una serie piccolina, ma molto intelligente».

Fuori dagli Stati Uniti come vanno le cose?

«Il modello inglese è molto interessante perché condensa le serie in pochi episodi con trame che nei casi più riusciti, come “Collateral”, toccano dei nervi scoperti della società attraverso dei generi come il giallo o il thriller. E c’è un mercato molto vivo anche in Israele, Francia e Germania».

E in Italia a che punto siamo?

«Anche da noi c’è stato un ottimo sviluppo. Tolti i casi sempre da ricordare di “Gomorra” e “Romanzo criminale” c’è da citare tra le cose più recenti “Il miracolo” di Niccolò Ammaniti e che anche la Rai sta facendo cose interessanti. Penso, per esempio, a “Il cacciatore” con Francesco Montanari che non ha nulla da invidiare alle serie straniere».

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