La Nuova Sardegna

I Jethro Tull a Cagliari: pulsa ancora forte Locomotive breath

di Andrea Massidda
I Jethro Tull a Cagliari: pulsa ancora forte Locomotive breath

Non un semplice concerto, ma la celebrazione di una band leggendaria. Non un romanzo in forma di musica, bensì un grande volume di sound concentrato in quasi due ore e fatto di tanti racconti, un po’...

22 luglio 2018
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Non un semplice concerto, ma la celebrazione di una band leggendaria. Non un romanzo in forma di musica, bensì un grande volume di sound concentrato in quasi due ore e fatto di tanti racconti, un po’ come in fondo sono quasi tutte le canzoni dei Jethro Tull, il gruppo rock-progressive che ieri sera a Cagliari ha festeggiato (soltanto cinque date in Italia) il cinquantesimo anniversario con un live capace di strappare di continuo gli applausi del folto e maturo pubblico presente nell’arena allestita all’interno della fiera. Sul palco, manco a dirlo, il mattatore è stato l’ormai settantenne Ian Anderson, fondatore e leader della formazione britannica, per l’occasione accompagnato dai musicisti dell’attuale Tull Band, ossia David Goodier (basso), John O'Hara (tastiere), Florian Opahle (chitarra), Scott Hammond (batteria), ma anche da special guests virtuali. Il risultato della serata è stato uno spettacolo elettrizzante nel quale è stato eseguito molto dell’immenso e variegato catalogo di lavori del gruppo, spaziando dal folk al blues, dall’heavy rock alla musica classica, addirittura.

La band che alla fine degli anni Sessanta rivoluzionò nel vero senso della parola la storia del rock - quando imperavano le chitarre elettriche, Anderson fu il primo al mondo a presentarsi su un palco come frontman imbracciando un flauto traverso - esordì per la prima volta nel 1968 al celebre Marquee Club di Londra.

Da quel giorno è passato mezzo secolo e la formazione ha venduto circa 60 milioni di dischi. Normale, dunque, che un simile anniversario dovesse prendere il via proprio con un pezzo contenuto nel primo album “This was”, precisamente “My Sunday feeling”. Un classico in grado di scaldare subito la platea facendo intuire sin dall’inizio che la carrellata di successi non sarebbe mancata. E infatti, il concerto - diviso in due set – è proseguito con altre hit storiche come “Love story” (un singolo che rimase per otto settimane nelle classifiche inglesi prima di trovare successo anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo) e la bella e commovente “A song for Jeffrey”, sempre tratta dal primo album, dedicata da Anderson all’amico Jeffrey Hammond, il quale suonò con lui il basso nelle band giovanili per poi – ma successivamente al pezzo – entrare a far parte dei Jethro Tull. Rock molto energetico, placato per un po’ da “Some day the sun won’t shine for you”, un lentaccio in stile country, e da “Dharma for one”, un tema strumentale.

Lo show è costruito alla perfezione ed è stato rodato più volte. Perciò il tempo vola quando Anderson e compagni in ordine sparso intonano tra grandi brani come “A new day yesterday”, “My God”, non prima di strabiliare con “Bourrée in E minor”, rielaborazione del quinto movimento in Mi minore per liuto scritto nientemeno che da Johann Sebastian Bach. Applausi a scena aperta ripetuti anche se la delusione è tanta perché in scaletta non appare “Cross-eyed Mary”, una canzone toccante che narra di una giovane ragazza di famiglia povera (Mary, appunto) che per tirare avanti si prostituisce, concedendosi però soltanto a uomini che come lei versano in disastrose condizioni economiche, probabilmente per il fatto che nessun uomo benestante accetterebbe mai di avere un rapporto con lei. Sarebbe stato il modo più romantico per chiudere il primo set.

Dopo qualche minuto si riprende con altri pezzi cult della band. Il primo della brillante lista è “Thick as a brick” (tonto come un mattone), tratto dal quinto album del Jethro Tull, del 1972. Poi è il momento di “Too old to rock’n roll, too young to die” (l’album dal quale è tratto era stato pensato come colonna sonora di un film mai realizzato e concepito come musical teatrale), “Songs from the Wood”, “Ring out, solstice bells”, “Heavy horses” e “Farm on the freeway”. Ma i fan più accaniti attendono con ansia “Aqualung”, title track di un altro concept che ha come tema la distinzione tra “religione e Dio”. Un album che, tanto per dire, ha venduto in tutto il pianeta la bellezza di sette milioni di copie ed è nel cuore dei rockettari almeno quanto il bis in programma, quella “Locomotive breath”, cavallo di battaglia del gruppo ed eseguita anche per questo sempre per ultima, che racconta dell’inesorabile scorrere della vita, paragonata al respiro di un treno che non ha modo di fermarsi perché il vecchio Charlie (Old Charlie) ha rubato la leva dei freni. Un finale poetico in tutti i sensi.



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