La Nuova Sardegna

Un live boombastic per mister Sting

Un live boombastic per mister Sting

T-shirt nera personalizzata su una tuta sportiva, capelli corti e brizzolati su un viso ancora giovanile, una voce rimasta incredibilmente strepitosa come ai tempi dei Police, tra la fine dei ’70 e i...

27 luglio 2018
4 MINUTI DI LETTURA





T-shirt nera personalizzata su una tuta sportiva, capelli corti e brizzolati su un viso ancora giovanile, una voce rimasta incredibilmente strepitosa come ai tempi dei Police, tra la fine dei ’70 e i primi anni ’80. Nella notte che precede l’eclissi di luna più lunga del secolo – con Venere, Giove, Saturno e Marte ben visibili nel cielo per oltre cento minuti – l’astro che brilla più che mai a Santa Margherita di Pula, nel Cagliaritano, è il baronetto inglese Gordon Matthew Thomas Sumner, noto in tutto il pianeta Terra con lo pseudonimo di Sting. È lui, infatti, che proprio ieri sera ha incantato il pubblico dell’arena del Forte Village (circa cinquemila mila persone, praticamente sold out nonostante i prezzi niente affatto popolari) per la primissima data della sua mini tournée italiana. Sul palco, nel ruolo di comprimario, il cantante Shaggy, originario di Kingston, con il quale il leggendario bassista inglese ha appena inciso un disco molto estivo e dai ritmi reggae dal titolo “44/876” (sono i prefissi telefonici del Regno Unito e della Giamaica), già ai vertici di molte classifiche mondiali, tanto che attualmente risulta nella top ten degli album più programmati dalle radio italiane. Ma una citazione è d’obbligo anche per la band che li accompagna: Dominic e Rufus Miller alla chitarra, Josh Freese alla batteria, Kevon alla tastiera e dulcis in fundo i coristi Monique Musique e Gene Noble. Una formazione studiata quasi a tavolino per strappare applausi dall’inizio alla fine del concerto, durato supper giù due ore.

Del resto, con il repertorio di brani propri dal quale Sting può attingere – per adesso nella sua carriera ha vinto il Grammy sedici volte, altre tre il Brit awards, vendendo qualcosa come 100 milioni di dischi – l’idea regalare ai presenti una serata indimenticabile non risulta certo una mission impossible. Lo si capisce già da quando la star entra in scena – sono le 21.38 esatte – e attacca con uno dei suoi pezzi più trascinanti: “Englishman in New York”. Un incipit inatteso e perciò ancora più mozzafiato, tutto da ballare anche se, com’era prevedibile, manca la parte swing a favore dei ritmi reggae. Pubblico in visibilio. La canzone, estratta come terzo singolo dal suo secondo album solista dal titolo “Nothing like the sun”, del 1987, è indubbiamente uno dei suoi cavalli di battaglia, tra le più belle mai fatte nella storia della musica. Normale, quindi, che in platea la si canti a memoria, anche nella zona super costosa dove si sono sistemati i clienti russi del resort. L’uomo inglese protagonista del brano è il famoso e stravagante attore e scrittore (divenuto un’icona gay) Quentin Crisp. Sting lo scrisse non molto dopo il trasferimento di Crisp da Londra a New York, quando fu suo ospite, per raccontare la condizione dei gay nell’omofobica Gran Bretagna dagli anni Venti agli anni Sessanta. Shaggy, da parte sua, la interpreta alla sua maniera, e il risultato è strabiliante. Una risposta secca a quei critici musicali che, forse un po’ troppo frettolosamente, avevano storto il naso per il suo sodalizio con Sting, definendoli “la strana coppia”.

Strana per niente, in realtà, se si considera che i Police – di cui Sting è stato il fondatore – si fecero conoscere e apprezzare ovunque proprio grazie a la loro particolarissima fusion tra punk e reggae.

E a ben vedere, seppure con un forte accento caraibico, anche nel concerto di ieri i due generi si sono mescolati alla perfezione. Il secondo brano che conquista il pubblico è, manco a dirlo, “44/876”, forse il più bello del disco appena che i due hanno appena inciso insieme. Ma di quell’album non mancheranno altre tracce, a cominciare dal singolo “Don’t make me wait”, il primo ad essere lanciato sul mercato. Dopo la splendida “Morning is coming” Sting sorprende tutti e intona la celeberrima “Every little thing she does is magic” e a quel punto in tanti si sollevano delle poltroncine per ballare. Il concerto, inteso nel senso di festa, forse inizia proprio in quel momento, anche perché poi seguono “O Carolina” di Shaggy in medley con “Together” e ancora, passando per “If you can’t find love” e “Love is seventhy wave” culmina con l’attesissima “Message in the bottle”, che eseguita così, con il rap finale di Shaggy, avrebbe probabilmente giustificato il prezzo del biglietto (se non fosse che il ticket in prima fila costava 1.800 euro). Tra gli altri brani che hanno fatto impazzire la platea, “So lonely”, “Sexy lady”, “Walking on the moon” e “Roxanne” per quanto riguarda la firma di Sting, e “Angel” e “Boombastic” tratte dal repertorio di Shaggy. Finale da brivido con “Every breath you take” e “Fragile”. Bello.



In Primo Piano
La polemica

Pro vita e aborto, nell’isola è allarme per le nuove norme

di Andrea Sini
Le nostre iniziative