La Nuova Sardegna

Il rock di Kayros apre Here I Stay Festival

di Alessandro Marongiu
Il rock di Kayros apre Here I Stay Festival

Al via a Fordongianus la decima edizione della rassegna

10 agosto 2018
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FORDONGIANUS. Tra Dolianova, dov’è cresciuta, e Fordongianus, dove si esibirà oggi, corrono un centinaio di chilometri: tanti, per la realtà isolana, ma non abbastanza perché non si possa comunque dire di lei che giocherà in casa. Lei è Dalila Usai, in arte Dalila Kayros, la cantante, compositrice e sperimentatrice a cui, alle 20, spetteranno l’onore e l’onere di aprire un’edizione dell’Here I Stay Festival importante come la decima – importante per i nomi in programma (The Soft Moon, ad esempio) e perché il numero tondo certifica la bontà dell’operato degli organizzatori, che hanno saputo fare della manifestazione un appuntamento ormai imperdibile per gli amanti di elettronica, rock e sonorità indie.

«Nessuna pressione in più di altre volte», rivela Kayros, da poco uscita con il nuovo album solista, “Transmutations yin side”, «al massimo sono contenta di suonare a pochi metri dalle terme romane, luogo bello e suggestivo». Rispetto a certe asprezze del debutto, il celebrato “Nuhk” del 2013, il successore presenta un sound almeno parzialmente più abbordabile: «In “Nuhk” esprimevo la materia nera, la tenebra che aleggiava nel rituale di donne in balia di una fondamentale contraddizione data dalla magia misto al senso di colpa cristiano. La libertà repressa di una qualche creatura che ha le ali ma alla quale nessuno ha insegnato a volare, e che cerca disperatamente di imparare in solitudine. “Transmutations” è, appunto, una trasformazione. Un'immersione nell'acqua, il guardare la luna nella sua più immensa pienezza». «Avevo il desiderio – spiega ancora Kayros – di sperimentare le timbriche più delicate e fredde della mia voce, che di solito nascondo ma che qui ho deciso di tirar fuori, e volevo inoltre sperimentare la struttura in quanto base solida e definita, ma anche portare i suoni ad una rotondità più morbida. La rotondità, diciamo, propria di un mare calmo. È stato uno studio abbastanza lungo, ho dovuto levigare parecchio, e Danilo Casti, che ha curato il suono nel mix e nel mastering, in questo mi ha molto aiutato».

La base concettuale delle nove tracce va ricercata in un’interpretazione personale «del concetto di yin del Taoismo. È un momento di riposo e di equilibrio, che però porta verso l'azione, per cui è una sorta di “attesa dell'esplosione”. Su questo disco l'esplosione non avviene mai, perché essa si risolve con lo yang, che verrà a tempo debito, con la seconda parte di “transmutations”».

In “Nuhk”, un elemento di gran fascino era dato dall’uso del sardo per i testi. L’esperimento, abbandonato in occasione del lavoro recente, si ripeterà? «Lì trattavo argomenti inerenti la Sardegna, e il sardo era assolutamente la scelta migliore da adottare. Potrei riutilizzarlo, oppure no: vedrò in futuro».

Già, la Sardegna. Anche Dalila Kayros, pur con una dimensione internazionale già raggiunta (“I-Optikon” dei Syk, il gruppo di cui è vocalist, è stato prodotto e pubblicato nientemeno che da Phil Anselmo, già dietro al microfono in Pantera e Down), deve farci i conti: «Lavoro e vivo nell’isola ma lavoro e vivo anche fuori. Il movimento e il non-movimento. Qui e altrove. La Sardegna è la mia base primordiale originaria, rocciosa e acquatica, di fuoco e terra. Se vado, torno. Se resto, vado».

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