La Nuova Sardegna

Marco Ligabue, il rock nel dna

Marco Ligabue, il rock nel dna

Ha il rock nel sangue, come suo fratello Luciano, uno dei musicisti più famosi e apprezzati d’Italia. Ma nelle vene di Marco Ligabue, classe 1970, cantautore emiliano che questa estate sta portando...

12 agosto 2018
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Ha il rock nel sangue, come suo fratello Luciano, uno dei musicisti più famosi e apprezzati d’Italia. Ma nelle vene di Marco Ligabue, classe 1970, cantautore emiliano che questa estate sta portando in tournée il suo ultimo album intitolato guarda caso “Il mistero del Dna”, scorre anche la Sardegna. La frequenta assiduamente da dodici anni, anche perché con una ragazza sassarese ha avuto una figlia di nome Viola. «Loro due vivono ad Alghero - racconta - e io almeno tre volte al mese sono nella Riviera del Corallo per stare con la bambina. A quest’isola mi sono subito affezionato, e non soltanto per il paesaggio, che ovviamente è incantevole. Mi piacciono i sardi, adoro il loro carattere, la loro musica, e si può dire che oramai ho più amici qui che a Correggio, il mio paese d’origine. Amici anche musicisti: penso a Paolo Fresu, a Beppe Dettori, ai Tazenda. Per non parlare di quante canzoni ho composto sulla spiaggia delle Bombarde che frequento anche fuori stagione». Impegnato in tutto il territorio nazionale con concerti ovunque, stasera (domenica12 agosto) si esibirà nella piazza di San Gavino in occasione della festa patronale. «Per fare un omaggio all’isola suonerò anche brani come “Non potho reposare” e “Nanneddu meu”», rivela l’artista, che sarà affiancato sul palco dal batterista Diego Scaffidi, dall’insostituibile chitarrista Jonathan Gasparini e dal giovanissimo bassista Luca Marchi.

Marco Ligabue, qualche giorno fa lei ha suonato a Porto Cervo. Una Sardegna diversa da quella che lei frequenta abitualmente. E magari anche un pubblico diverso, no?

«In Sardegna ho fatto concerti dappertutto, ma in effetti nel cuore della Costa Smeralda non avevo mai suonato. Devo dire che gli organizzatori mi avevano messo un po’ in allarme. Dicevano: “Qui la gente ti apparirà più distaccata, ti troverai davanti a un pubblico particolare, forse distratto” e così via, facendo quasi terrorismo. E invece, lo dico sinceramente, la serata è andata benissimo, specie da metà concerto in poi. E siccome io in scaletta inserisco sempre delle cover molto conosciute, alla fine tutto il pubblico si è ritrovato sotto il palco a cantare. Ecco, se devo raccontare la mia personalissima esperienza, non posso che dire che un live a Porto Cervo non è diverso dagli altri».

Lei è stato per tanto tempo chitarrista dei Rio, poi all’improvviso ha deciso d’intraprendere la carriera da solista. Perché?

«Ho semplicemente sentito che si era chiuso un ciclo. Ho capito che in quel contesto avevo ormai dato il meglio di me. E poi nella vita si cresce, si cambia. I dieci anni con loro sono stati meravigliosi anche perché ho fatto quattro dischi e più di cinquecento concerti».

Anche adesso di concerti ne fa tantissimi.

«Ne ho fatti cento in dieci mesi. Un’esperienza talmente bella e densa da rimanerne quasi ubriacato. Per riprendermi dalla sbronza mi ero detto di fare un po’ di pausa, poi sono bastate poche settimane per farmi tornare una voglia matta di tornare in tour. Le pause nella musica esistono e sono importanti, ci sono anche nel pentagramma, ma vuoi mettere rispetto alle tante note da suonare? Riparto, riparto con qualche spartito nuovo e tanta voglia di viaggiare».

Che concerto propone in questo tour?

«Nei miei cinque anni da solista ho fatto tre album, l’ultimo dei quali s’intitola “Il mistero del Dna”. Chiaramente propongo tante mie canzoni e il mio nuovo singolo appena uscito, “Che bella parentesi”. Poi, come accennavo prima, eseguo sei o sette cover: da “Generale” di De Gregori a “Il pescatore” di De André, passando per il “Nastro rosa” di Battisti. Sono le prime canzoni che ho imparato a suonare, quelle del canzoniere classico, per me sono importanti e poi il pubblico sembra gradire molto. Sicuramente anche perché le faccio in versione super rock».

Parliamo del disco “Il mistero del Dna”.

«Contiene nove canzoni che raccontano ognuna una storia che ho vissuto in prima persona o che ho visto. La canzone “Cuore onesto”, che è stata il primo singolo tratto dall’album, l’ho composta per resistere emotivamente all’idea generale dell’individualismo. Poi c’è il brano che dà il titolo al disco, “Il mistero del Dna”, sulla quella straordinaria spirale che ci rende unici».

Unici, certo. Tuttavia viene spontaneo pensare alle affinità tra lei e suo fratello.

«Eh sì, chiaro. Anch’io molto spesso m’interrogo sul perché Luciano e io siamo così vicini e attaccati alla musica».



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