La Nuova Sardegna

L’alchimia di Faber rivive sul palco con Cristiano

Roberto Petretto
L’alchimia di Faber rivive sul palco con Cristiano

Grande successo a Riola Sardo per il concerto del cantante e polistrumentista figlio di Fabrizio De André

19 agosto 2018
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Sarebbero rimasti lì per altre due ore. Ad ascoltare quell’ex ragazzo di 56 anni cresciuto all’ombra di un padre gigante, forse segnato dall’ansia di affrancarsi da un nome che indirizzava un percorso. Sarebbero rimasti lì per “ore infinite come costellazioni e onde” gli oltre 1.500 spettatori che venerdì hanno gremito il Parco dei suoni, ad ascoltare mille e più canzoni del repertorio infinito di Faber. Ciascuno di loro con una personale scaletta, ognuno con il rimpianto di non aver potuto ascoltare “Bocca di Rosa” oppure “Anime salve”. Perché Fabrizio De André ha accompagnato tratti di vita di tanti di noi e il figlio Cristiano ha saputo riportare sul palco l’emozione che Fabrizio, alchimista di parole e musica, riusciva a creare. L’abbraccio del pubblico lo ha investito e forse sorpreso. Don Raffae’ apre la sequenza di classici. E il pubblico comincia a cantare. E prosegue, con ancora più entusiasmo, quando parte Se ti tagliassero a pezzetti. È un film che riparte. Chissà quante volte Cristiano si è trovato a fare i conti con il suo passato: “Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia”, come dice il protagonista di Coda di Lupo. Saranno riusciti a cambiarlo? A cambiarci? In Verranno a chiederti del nostro amore la risposta è certa: no, non ci sono riusciti. Ma chissà se la battaglia di Faber, allora come oggi, è percepita per quello che l’autore voleva trasmettere con le proprie parole. Se i tormenti di Andrea sono rimasti legati a una società bigotta, se qualcosa è cambiato o se c’è un oscurantismo di ritorno. Cristiano De Andrè prosegue il lavoro del padre, porta in giro per l’Italia quei testi ancora attuali per il pregio del lavoro del poeta genovese, ma anche per un limite di questi tempi così bui. Cristiano ha sempre quella voglia di denunciare. «Per l’ultima volta porterò in giro il meglio delle canzoni di mio padre, ma sto lavorando a “Storia di un impiegato”». Un’opera rock ispirata a uno dei lavori forse più ostici di Fabrizio. Il concerto prosegue con La cattiva strada e poi con Un giudice. Quindi la meravigliosa Il testamento di Tito e, ancora dedicata a Genova, Creuza de ma. La solitudine dell’artista, le difficoltà del comunicare: risuona Amico fragile, storia autobiografica di Fabrizio che, forse, è autobiografica anche per Cristiano. Il concerto si chiude con il ritmo di Quello che non ho e Fiume Sand Creek. Poi iniziano i bis e allora con Volta la carta e Il Pescatore il pubblico si avvicina al palco, batte le mani e balla, stringendo in un abbraccio non solo ideale ma quasi fisico quel De André che ha regalato un’altra notte di poesia. E l’arrivederci è, ancora una volta, affidato a una poesia: Amore che vieni, amora che vai. Lo spot illumina Fabrizio al piano. E l’applauso finale del pubblico, che l’artista omaggia con un inchino, sembra voler dire: «Non smettere mai».

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