La Nuova Sardegna

Visioni, scienza e poesia I brividi del “Cabudanne”

di Daniela Paba
Visioni, scienza e poesia I brividi del “Cabudanne”

A Seneghe è andata in scena un’edizione meno tradizionale e più sorprendente Performance classiche, sperimentazioni e note di fado nelle vie del centro storico

04 settembre 2018
3 MINUTI DI LETTURA





SENEGHE. Nel definire la poetica, Maria Borio, giovane poeta e saggista, ospite al festival di Seneghe per il saggio “Individui e Poetiche” (che sistematizza i poeti italiani dagli anni Settanta al Duemila) ha parlato di «visione che costruisce un linguaggio in grado di aprirsi, momento di unione in cui la comunità possa fare esperienza e crescere». La metafora è utile per raccontare il Capodanno dei poeti, quando Seneghe diviene culla del dialogo tra poeti, scienziati, performer e un pubblico, ondivago tra piazze, vicoli e antichi frantoi, resi più evidenti dalla luce tagliente della tarda estate o dalle ombre lunghe, sferzate dal maestrale.

Il festival, che si è concluso domenica, è apparso meno coerente degli altri anni, se si pensi alla poesia in senso stretto, più rigoroso nel dare valore al territorio e alle produzioni agroalimentari sarde di pregio, più curato nell’accoglienza grazie al ristorante estemporaneo affidato allo chef Josto; sempre orgoglioso di declinare un tema difficile: l’incontro di Poesia e Scienza e di ospitare sullo stesso palcoscenico in Partza ‘e sos ballos la “‘chanteuse” di rara raffinatezza Lula Pena e lo scultore-musicista Jago. Ma la bellezza dei festival è nella sorpresa e nella scoperta. Per chi non ha esperienza di poesia performativa l’incontro con Serge Pey e Chiara Mulas è illuminante: i versi elettro-neolitici recitati a passo di danza, martellanti, politici, affannati, pieni di richiami ancestrali all’attualità sono detti (in francese) da Pey, ri-detti (in Italiano) da Antonella Puddu Gaviano, mentre una figura di dama bianca (Chiara Mulas) dal viso avvolto di reti metalliche e rose scarlatte scioglie l’involucro, depone le rose, le partorisce come sangue, sparge i loro petali sul pubblico e si cuce addosso come ricamo la bomba della RWM. Decisamente emozionante è stato l’incontro con la biologa Barbara Mazzolai, coordinato da Rossella Panarese e Marco Motta di Radio 3 Scienza, quando ha mostrato in video i robot ispirati alla vita animale e vegetale che costruisce nel laboratorio dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Abbandonare la meccanica e rigida del robot canonico per sperimentare l’intelligenza artificiale che si muove in forme morbide come il polpo o l’alga marina significa cambiare il paradigma e la ricerca. Con quest’intuizione Barbara Mazzolai è diventata una degli scienziati più influenti al mondo e sul palco ha raccontato le sue creature con una chiarezza che faceva il paio con una bellezza rinascimentale, ineffabile.

Come e quanto Lula Pena, chitarrista e cantante di fado, voce profonda che mette insieme melodia e ritmo percussivo, con cui lega un brano all’altro senza soluzione di continuità. Tre album in vent’anni e una figura alta, ieratica, nel buio assoluto della piazza l’album “Archivio Pittoresco” ha accompagnato il pubblico sulle rotte dei portoghesi, tra suoni e lingue del mediterraneo (una versione di “Non potho reposare” è anche nell’album), che si nutre dei ritmi dell’Africa e diventa blues. Forse quello che unisce arte e scienza è l’atto creativo che, nella sua gratuità, è atto d’amore. Gravidanza e parto è l’opera d’arte per Jago, il giovanissimo scultore che dalla Biennale di Venezia andrà a New York. A Seneghe ha presentato un esperimento di scultura in 3D da proiettare in diretta al pubblico sulle musiche da lui stesso composte eseguite dal gruppo di ragazzi di Artedigitale.

Documentare il processo di creazione con tutti mezzi che la tecnologia mette a disposizione significa condividere col pubblico la ricerca, l’atto, il lavoro delle mani, l’emozione. Nel montaggio in loop delle sue opere si capisce come Michelangelo possa tornare attuale: nel colpo di scalpello capace di mettere a nudo la carne del pontefice che si è dimesso in Habemus hominem. La stessa scintilla di vita che un matematico come Vincenzo Manca ha raccontato nel libro “Un meraviglioso accidente, la nascita della vita” scritto a due mani col poeta Marco Santagata per spiegare ai profani cosa accadde tra il Big bang e la comparsa della vita. Aggregati di molecole raddoppiano e si dispongono a spirale per trasmettere quante più informazioni possibili. Il cosmo che si nutre del caos perché, nella simmetria perfetta, l’incognita della vita assuma una delle tante forme possibili.

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative