La Nuova Sardegna

“Frankenstein”, la gioia della pura invenzione

di Lisa Ginzburg
“Frankenstein”, la gioia della pura invenzione

Lisa Ginzburg presenta a Orani il suo nuovo libro per la rassegna “Quando tutte le donne del mondo”

15 settembre 2018
3 MINUTI DI LETTURA





Pubblichiamo un brano dal libro di Lisa Ginzburg “Pura invenzione” (Marsilio), una lettura del “Frankenstein” di Mary Shelley che sarà presentata oggi a Orani per la rassegna “Quando tutte le donne del mondo”.

* * *di Lisa Ginzburg

Felicità della pura invenzione, libera, capace di scardinare i nessi obbligati tra la vita vera e la sua riscrittura. «Non c’è nulla della fantasia che non sia stato già pensato dalla realtà» disse a me e ai miei compagni Agata Apicella Moretti, nostra (eccezionale) professoressa di greco e latino, durante una gita scolastica (la sola, in cinque anni di liceo) nella Sicilia occidentale degli anfiteatri greci. Primavera, mattina. Su un treno, il metallo degli infissi smaltati di giallo-bronzo luccica, falso e tristanzuolo. Triste e poco vera mi sentivo anch’io, nell’ascoltare enunciato quell’assioma in modo tanto inoppugnabile. Dunque avrei provato a creare quanto volevo (al tempo i miei desideri li formulavo chiari: scrivere e inventare, quello ambivo fosse il mio avvenire), la realtà avrebbe vinto sempre. Ore dopo, scesi dal treno, lo spettacolo magnifico dei templi di Segesta e Selinunte ci attendeva per mostrarci un presente inchiodato al passato. Così come l’immaginazione rispetto ai dati di fatto, anche una dimensione attuale del tempo dava prova, nei confronti dell’altra, di rispettosa umiltà.

Visionarietà, antidoto alla sterile fatica del mero pensare l’esistenza. Il progetto di Victor Frankenstein, il suo voler generare l’ingenerabile, «dar vita a un animale complesso e meraviglioso come l’uomo» (e non uno soltanto: il proposito iniziale è quello di fabbricare «molti esseri felici e perfetti»), potrebbe farlo ritenere un simbolico paladino delle idee di William Godwin, e la sua ambizione venir letta come fiducia razionalistica nelle possibilità della mente umana. Ma ecco il ri-generarsi di Mary Shelley, frutto del suo scetticismo riguardo alle convinzioni paterne. Sostenuta da una logica stringente nonostante la cornice di finzione, se le riesce di confutare l’idea per cui la vita organica sarebbe qualcosa di controllabile, materia passibile di venire orientata e manipolata, è in virtù della forza della sua pura invenzione. Ecco il Mostro, la Creatura che avrebbe dovuto dimostrare la perfezione di un artificio assemblato in laboratorio, invece agire goffo, enorme, deforme, criminale e devastatore malgré soi, dominato da forze che lo sopraffanno – all’abnormità fisica si aggiunge quella psicologica, dovuta a una sensibilità “dissennata”. Pulsioni distruttrici, linfa vitale che, scaturita dalla morte, semina altra morte. La parabola epistemologica è agli antipodi delle tesi di Godwin, e il romanzo, in forma implicita ma incontrovertibile, prende posizione. Ogni pianificare, qualsiasi programmare in astratto, arriva prima o poi a collidere con la realtà, con la “forza di verità” degli impulsi. Perché le emozioni sono più forti di qualsiasi logica. Sono la vita; e la vita vince.

La felicità, in “Frankenstein”, si trova così paradossalmente dal lato del suo “antefatto” – della temperie della sua genesi. Vittoria” del “sentire” sul “pensare”, con relativo potenziamento della facoltà visionaria. Immergersi nelle fibre di un romanzo, seguirne scena per scena ogni singolo movimento narrativo, sino a restituire una vicenda triste e cupa, ma con un’immaginazione a tal punto esatta, da rendere quella stessa vicenda invece luminosa. Fedeltà alla fantasia, adesione al suo potere rivoluzionario. È questo a infondere gioia, lì dove gioia sembrerebbe proprio non essercene alcuna.

© 2018 by Marsilio

Editori® s.p.a. in Venezia

La Sanità malata

Il buco nero dei medici di famiglia: in Sardegna ci sono 544 sedi vacanti

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative