La Nuova Sardegna

“Sulla mia pelle”, il coraggio di raccontare tutta la verità

di MARCELLO FOIS
“Sulla mia pelle”, il coraggio di raccontare tutta la verità

Il film sulla vicenda del ragazzo ucciso a botte: la lettura di uno scrittore «Cremonini e Borghi ci avvertono: rischiamo un regime antidemocratico» 

19 settembre 2018
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segue dalla prima

* * *di MARCELLO FOIS

Qualcuno ritiene, e continua a ritenere, infatti che i casi come quello di Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi, non siano nient’altro che incidenti provocati dal destino avverso di cittadini di serie B per i quali non è necessario starsela a prendere più di tanto. E invece no. Un film come “Sulla mia pelle” può dimostrare che di una riflessione seria in questo Paese intorno ad argomenti come questi c’è talmente bisogno che quasi la storia, la trama si scrive da sola: basta seguire i fatti, basta recitare la cruda sequenza della vicenda senza niente togliere e niente aggiungere.

Certamante occorrono interpreti straordinari come Alessandro Borghi e come Jasmine Trinca, certo occorre una onestà intellettuale e una scrittura “senza qualità”, e quindi difficilissima, come quella messa in campo da Alessio Cremonini che ha anche diretto il film. Conosco, e riconosco, questo preciso, e complesso, atteggiamento fin da quando, era il 2002, mi chiesero di sceneggiare per il cinema un’altra assurda passione laica: quella di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in Somalia. Anche in quel caso la scommessa era di non fare, non far dire, non filmare niente che non fosse supportato da documenti. E questo perché non potesse sussistere il dubbio che si fosse deciso di premere il pedale dell’effetto a discapito dei fatti.

Qui è tutto chiaro: Stefano Cucchi è un tossicodipendente che spaccia cocaina e hascish, ha trascorsi in comunità di recupero, di certo non è un cittadino specchiato. E allora? Appena la Giustizia fa il suo corso, appena viene eseguito il suo arresto questo pregresso non deve e non può incidere sul rispetto dei suoi diritti civili. Questo separa una democrazia matura quale noi riteniamo di essere dal regime parademocratico a cui stiamo accedendo. Nel mondo dei forcaioli chiunque merita pene esemplari fuorché i forcaioli. E così Aldovrandi, pestato dai poliziotti che dovevano “fermarlo”, può morire a 18 anni perché se l’è cercata; come se l’è cercata Stefano Cucchi che in fondo era solamente un rifiuto della società.

“Sulla mia pelle” non dice come, ma ci fa vedere i fatti, e i fatti sono che Stefano Cucchi entra in una stanza con due carabinieri fisicamente integro e ne esce malmenato. Dentro questa “omissione”, che dipende solo dalla constatazione che la vicenda processuale è ancora in corso, si racconta il paradosso secondo cui un essere umano può ridursi in fin di vita senza che nessuno l’abbia sfiorato. Nella settimana successiva a quell’incidente, al risultato cioè di quella omissione della trama che corrisponde in tutto al collasso di qualsiasi logica, Stefano Cucchi muore, nel film come nella vita, nei modi e nei termini raccontati dagli atti giudiziari.

Ci vuole un grande coraggio e un grande senso civico a sopportare questo film, che non è un film, ma la copia anastatica di una vicenda atroce, perché nell’arte la svolta può essere di rifiutare qualunque artificio. Può significare spianare il come e il quando nella loro genetica quintessenza e costringerci a sentirci tutti come la bella, semplice, normale, famiglia Cucchi: incapace di trovare le parole per chiedere giustizia, annichilita dalla sorpresa di vedersi catapultata nel territorio dell’arbitrio, impotente di fronte all’impossibilità di concepire un’azione di forza che non sia lo sgomento, la messa a punto dei fatti. Fino a quando non resta nient’altro che la protesta dolente. Questo dolore possibile, questo impasse dietro l’angolo, questa impossibilità di scrollarsi di dosso la sensazione che potrebbe capitare a ognuno di noi, rende “Sulla mia pelle” un film civile, che non consolerà i Cucchi della loro perdita, ma aiuterà a non renderla inutile.

Questo piccolo film francescano, ha, infine, il pregio di riportarci al cinema che ci ha reso maestri nel mondo con quel suo atteggiamento neorealistico dove le idee e i contenuti fanno dimenticare la povertà di mezzi. Proprio come accadeva nel mondo parallelo del buongusto e della sobrietà, prima che ci convincessero che persino la dignità ha un prezzo.



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