La Nuova Sardegna

La principessa di Marras esiliata sull’isola dell’Asinara

di Angiola Bellu
La principessa di Marras esiliata sull’isola dell’Asinara

Lo stilista ha presentato alla Fashion Week la nuova collezione Primavera-Estate Il tema delle grandi migrazioni attraverso la storia vera di Romane Worqs

22 settembre 2018
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MILANO. Il viaggio è il tema della performance che Antonio Marras ha messo in scena ieri nel corso della presentazione della sua collezione Primavera Estate 2019 alla Milano Fashion Week. Viaggio messo rappresentato in tutte le sue declinazioni, passate e presenti; c’è l’avventura umana di Arthur Rimbaud, «l’uomodalle suole del vento», che di Hafar, città mistica dell’Etiopia, ha fatto il suo rifugio, e quella di Bruce Chatwin che dichiarava il suo tributo a Rimbaud con “Che ci faccio qui?”, una domanda che si era posto proprio in Abissinia: sono, quelle tra virgolette, le due frasi dell’incipit del libretto di sala, scelte per ricordare due icone del viaggiare alle quali è dedicata questa collezione.

«Il viaggio scelto ma anche il viaggio forzato», ci spiega Marras, andando oltre fino a toccare amaramente il nostro tempo di migrazioni e di stragi per mare. Idea di viaggio forzato nata da un’avventura personale: «Ero in barca con mia moglie e con un gruppo di amici e abbiamo dovuto riparare all’Asinara per colpa del maestrale – ci racconta l’artista –. Siamo stati lì tre giorni al gavitello e così mi è venuto in mente di aver letto un bell’articolo, sul settimanale Atlanti della Nuova Sardegna, sulla principessa etiope Romane Worqs che, durante l’occupazione fascista nel Corno d’Africa, è stata esiliata all’Asinara con quattro figli e la servitù». Storia che è diventata tema della sfilata milanese di ieri. L’avventura ha ispirato anche la bella penna di Patrizia Sardo Marras che, con il racconto “Colpa del Maestrale”, ha tracciato ancora una volta il sentiero della collezione.

«L’avventura all’Asinara è stata lo spunto per raccontare il passaggio, il trasferimento da un luogo all’altro. Tutto questo l’ho tradotto nelle mie nuove creazioni partendo dalla fase di Sergio Atzeni che dice “esistono al mondo due colori, il secondo è il verde». Il verde è quello militare, quello della guerra (anche non attuata) e l’artista ha usato il parka, reinventato in mille modi e con tutte le incredibili commistioni tipiche del suo lavoro. La sfilata si apre con un forte impatto iconico. Marras ricrea l’indumento militare, ornandolo con applicazioni di piume e finta pelle di pitone, con perle, pizzi e intarsi preziosi. Il parka diventa anche gonna, vestito, giacchetta, rouches, top. L’Africa in scena è metafora del viaggio: l’Africa dura degli esploratori e quella impalpabile della principessa Romane, che Marras racconta conun maculato stampato su seta leggera, ricamato con paillette e preziosamente intarsiato a mano. Molti i rimandi ai safari con enormi cappelli creati dall’algherese Tonino Serra: i mosquitos da esplorazione riletti come ironiche e leggiadre installazioni. Haute couture che si sposa con maxi felpe: il lusso della principessa etiope che convive con l’altra faccia del continente nero. Sottilissima organza di seta e denso camouflage.

La sensibilità artistica di Marras ha radici profondamente radicate nel nostro tempo e oggi il viaggio dei più è quello costretto: «I pensieri sarebbero molti – ci dice lo stilista – . Assistiamo a tragedie terribili nel nostro Mediterraneo. Sono cose atroci, che non dovrebbero accadere, ma che accadono». Una militanza poetica, quella di Marras, espressa con una potenza disarmante.

Poi sulla scena cambia la musica che diventa quella di “Ne me quitte pas”, non mi lasciare, il brano eterno di Jacques Brel. I performer entrano con in dosso le sole mutande e al collo gli scarponi che penzolano dai lacci (il rimando è alla celebre foto di Bruce Chatwin, che però era vestito). Si abbracciano sulle passerella: «Non mi lasciare». Oltrepassano porte spoglie. E cade su di loro una sabbia desertica. «Un’attraversamento di porte, la solitudine dei confini», spiega Marras. E l’immagine vale veramente più di mille parole. Una denuncia così empatica che dal pubblico, lì per un evento di moda, scatta un applauso a scena aperta davvero commosso. «Fare il mio mestiere non implica essere avulsi da ciò che accade intorno al mio ambiente ristretto. Siamo bombardati da fatti che non possono non influire su qualsiasi lavoro si faccia. Vivo il mio tempo e sono toccato dalle cose del mondo. Non si può restare indifferenti».

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