La Nuova Sardegna

Rombo di Tuono, ritorno alle origini: viaggio a Leggiuno, il paese di Gigi Riva

Luca Urgu
Un campo di calcio a Leggiuno, il paese dove 74 anni fa è nato Gigi Riva (foto di Sabrina Perna)
Un campo di calcio a Leggiuno, il paese dove 74 anni fa è nato Gigi Riva (foto di Sabrina Perna)

Nella terra del mito, Riva non si vede ma si sente. Il borgo di 3500 anime in provincia di Varese è conosciuto in tutto il mondo proprio per aver dato i natali al bomber del Cagliari dello scudetto

29 settembre 2018
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Nel paese del mito, Gigi Riva non si vede ma si sente. A Leggiuno, borgo di 3500 anime in provincia di Varese, conosciuto in tutto il mondo proprio per aver dato i natali al bomber del Cagliari e della Nazionale (dove il suo record di gol - 35 in 42 partite - è ancora imbattuto) non ci sono immagini nei bar o in altri luoghi pubblici che raccontino la grande epopea del campione cresciuto da queste parti, dove è nato il 7 novembre del 1944. Le foto chi le ha se le tiene strette a casa. Sono soprattutto istantanee in bianco e nero degli anni Cinquanta che raccontano la voglia di riscatto e di divertimento dopo la tragedia e i dolori della guerra. La grandezza di Gigi Riva, ancora oggi rispettato e idolatrato nell’isola che lo accolse quando aveva appena 18 anni, qui è lasciata alla memoria. Ricordi spesso sbiaditi e che vanno stimolati e sollecitati. Qui la gente - sarà anche per il carattere chiuso e riservato che la contraddistingue - se sollecitata affronta l’argomento, ma pesa le parole, le misura e le centellina con attenzione. Un atteggiamento quasi agli antipodi di quello dei tanti sardi che si incontrano anche in questo fazzoletto di Lombardia, orgoglioso come quello dei conterranei rimasti nell’isola.

Il gran rifiuto

Per tutti i sardi - oriundi e non - basta solo pronunciare il nome di Giggirriva che l’entusiasmo diventa travolgente. Sì, perché per intere generazioni quel ragazzo diventato uomo in Sardegna con le sue gesta sportive ha rappresentato il riscatto di un’isola intera che va decisamente oltre il pallone. Il suo “restare” rifiutando le offerte miliardarie delle grandi squadre del Nord ha assunto un significato politico. Più sentiva gli insulti dei tifosi avversari che chiamavano «pecorai» i giocatori rossoblù, più si arrabbiava vendicandosi bucando la rete con il suo potente sinistro. Il suo amore è a tutt’oggi abbondantemente ricambiato a varie latitudini: da Cagliari diventata da oltre mezzo secolo la sua città, a La Maddalena, da Bosa a Orosei. Praticamente ovunque. Il suo essere, il suo calarsi perfettamente nella realtà sarda ha sradicato staccionate e abbattuto sterili campanili. Percorrere a piedi la sua Leggiuno di sabato mattina è come fare un tuffo all’indietro nei paesi della provincia italiana: strade in ordine, villette e campi coltivati ti conducono al centro del paese dove a regnare è la tranquillità. Il silenzio delle strade sembra ricalcare il carattere di chi lo abita. Nei bar lungo la via principale i leggiunesi si ritrovano per un caffè e un aperitivo. La giornata è calda e in tanti ne approfittano per stare all’aperto e godersi questo scampolo d’estate. Luciano Bernè, 73 anni, un anno più giovane del suo illustre compaesano, torna volentieri indietro nei ricordi: «Da bambini abbiamo tirato due calci al pallone insieme. Lui era già bravo, si vedeva già da allora che aveva un talento fuori dal comune - dice - ai tempi dei mondiali del 1970 in Messico veniva qua in paese con tanti compagni della Nazionale e stavano nella casa che lui negli anni ha ristrutturato».

Le testimonianze

Poi, nell’uomo compare un velo di malinconia: «Peccato che in tutti questi anni il Comune non abbia mai pensato di dedicare qualcosa a Gigi, di promuovere qualche iniziativa. Avevamo un parroco, ora andato via, don Walter, che si dava tanto da fare. Era in contatto con Riva. So che ogni tanto si parlavano. Lui sì, insisteva, ma alla fine non si è fatto nulla. Se ci penso, una volta siamo andati a piedi a Torino con l’oratorio e avevamo un mazzo di foto del campione e quando la gente ci chiedeva di dove eravamo noi dicevamo: del paese di Gigi Riva». Lorenzo Effiggiati, maglia bianca con uno scudetto con i colori dell’Inter, con i suoi 20 anni ha invece appreso in casa, soprattutto dai racconti del nonno Gianandrea, che oggi ha 86 anni, le vicende del mito. «Mio nonno gli ha firmato il primo cartellino del Csi e poi lo accompagnava agli allenamenti in Vespa», dice il ragazzo che ci indica lo spazio in via Piave dove c’era l’oratorio, prima palestra del campione in erba. Ora qui non si gioca più a calcio, è rimasto un prato verde e non ci sono nemmeno più le porte, così come da Leggiuno, ormai da due anni è anche scomparsa, dopo un fallimento doloroso, anche la prima squadra del paese. Davanti a quel che è rimasto del campetto che radunava fino a pochi anni fa centinaia di bambini, forse per un segno del destino nel terrazzino di un’abitazione sventola una bandiera dei quattro mori. È la casa di Domenico Denti, di Ottana, qua da più di trent’anni, operaio in una fabbrica di ascensori. «Ovviamente una volta arrivato a Leggiuno ho subito saputo che a 50 metri da casa mia abitava Gigi Riva. I miei figli hanno frequentato l’oratorio e giocato in quello stesso campetto dove lui ha tirato i primi calci. Una volta è venuto anche lui per una manifestazione che abbiamo organizzato». Denti non è l’unico sardo in paese, Vittorio Cosseddu da Perfugas con sua moglie di Pozzomaggiore è arrivato a Leggiuno nel 1963: «Gigi Riva prima l’ho sentito nominare, poi quando veniva da queste parti si parlava un po’. Tu sei andato in Sardegna e io in Lombardia gli dicevo, però tu hai avuto più fortuna di me - commentavo col sorriso -. Anche ora passo davanti alla sua casa tutti i giorni. Ogni tanto vengono sua sorella e i figli. Don Walter ci diceva che dovevamo considerarlo come una reliquia, come un santo. In effetti aveva ragione». A proposito di santi, proprio prima della casa di Rombo di Tuono (il soprannome dato a Riva dal grande giornalista Gianni Brera) c’è la bellissima chiesetta dei santi Primo e Feliciano, risalente al nono secolo. Tempio cristiano che conduce verso un altro monumento - almeno per i sardi - questa volta pagano: la dimora dei Riva è chiusa, ma ogni tanto arriva qualcuno della famiglia seppure per pochi giorni.

I simboli

«Vivo a Como da trent’anni dove lavoro nella Guardia di Finanza e durante il tempo libero mi dedico a una gita fuori porta. Leggiuno mi mancava, ovviamente sono venuto perché volevo vedere il paese di Gigi Riva approfittando anche del richiamo di una festa sarda in Valcuvia - commenta Massimo Fiori, nuorese, con la maglia del Cagliari dello scudetto indosso -. Io non sono un amante del calcio e pratico e amo lo judo, ma il valore di Riva va oltre quello che ha realizzato nel rettangolo di gioco». Sempre in via San Primo c’è un negozio di frutta e verdura, curato nei minimi dettagli. Qui qualche simbolo del campione inizia ad apparire quasi per magia. «Io a casa ho il vino di Riva, mi pare si chiami Rombo di Tuono. Una bella bottiglia, non l’ho ancora aperta. Quasi quasi mi dispiace», dice il fruttivendolo Fabrizio Vicentin di origine veneta ma nato e cresciuto qui. È lui che gentilmente ci accompagna fino alla casa di….Plin Plin, l’amico storico di Riva percorrendo una stradina che sale per duecento metri dalla piazza del municipio. L’uomo è gentile ma nessun racconto del campione. «Non ho la sua autorizzazione, è da un po’ che non lo sento. Quando sono arrivati giornalisti me li aveva sempre annunciati», dice l’uomo osservato dallo sguardo vigile della moglie. Prima di congedarci una raccomandazione. «Se lo vedete e lo sentite, mi raccomando: tanti saluti dal Plin Plin». Sarà pure che nemo propheta in patria e onorificenze e riconoscimenti qua non sono mai arrivati per il campione, ma la questione tiene comunque banco - almeno a sprazzi - nel dibattito cittadino. «Penso che qualcosa faremo, anche se non sono molto supportato in questa iniziativa», sottolinea Giovanni Parmigiani, 75 anni, sindaco di Leggiuno. Il suo vice Davide Fantoni, è invece nato nella stagione magica che consegnò al Cagliari di Riva il tricolore. Lo incontriamo nel suo ufficio.

I progetti

«Il nome di Gigi è ben presente nella nostra memoria - dice -. La sua storia è quella del riscatto attraverso lo sport. Penso che il nostro paese non abbia sentito una sorta di tradimento da Riva, proprio perché in lui è sbocciato un amore forte verso la Sardegna. Bisogna tacere e rispettare». È strano ma tornando in auto una volta lasciato alle spalle il cartello Leggiuno viene in mente una musica che accompagna le parole di Piero Marras: «Quando Gigi Riva tornerà, a noi ci troveranno ancora qua. Con la vita in fallo laterale e il sorriso fermo un po’ a metà. Tornerà la voglia di sognare...».

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