La Nuova Sardegna

«Lacrime di sale macchiano la dignità del nostro mare»

di Giacomo Mameli
«Lacrime di sale macchiano la dignità del nostro mare»

Pietro Bartòlo, il medico di Lampedusa protagonista di “Fuocammare” in Sardegna per presentate il suo libro sulla tragedia dei migranti africani

04 ottobre 2018
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CAGLIARI. Pietro Bartòlo, medico-mito del molo Favarolo di Lampedusa, di nuovo in Sardegna. C’era stato ad agosto per ricevere il primo premio “Persona fraterna” dalle mani del vescovo di Lanusei Antonello Mura. È tornato a Cagliari a presentare, nei giorni scorsi, con i giornalisti Giovanni Maria Bellu e Lidia Tilotta, presente il sindaco Massimo Zedda, il nuovo libro “Lacrime di sale” (Mondadori, euro 13, 137 capitoli, pagine 143) per la terza edizione della rassegna di intrecci culturali e letterari “Storie in Trasformazione 2018” con la regia di Marina Boetti e Michela Calledda. Aveva già conosciuto il successo col documentario “Fuocammare” di Gianfranco Rosi (proiettato a Tortolì alla Caritas) e aveva ottenuto l’Orso d’oro 2016. Ora racconta, con più dettagli, la sua storia quotidiana di medico nell’isola Porta d’Europa.

Lei stesso scrive che è un pugno allo stomaco. Perché?

«Semplicemente per non abbassare la guardia, per ricordare che c’è un pezzo di mondo che soffre, che muore di fame dov’è nato e muore annegato in mezzo al mare. Il molo Favarolo è forse la mia prima casa perché lì passo la vita, lì vedo sofferenze atroci, lì devo misurarmi con la contabilità dei morti. E mi si strazia il cuore nel sentire di chi racconta questo esodo sulle acque come di una pacchia, di una crociera».

Una denuncia scritta, con un libro.

«Certo. Ho parlato e parlo con le tivù di tutto il mondo ma il piccolo schermo non fa giustizia, in due minuti non puoi raccontare drammi epocali. Ho pensato di mettere nero su bianco nomi e cognomi, tutti veri, di chi soffre e di chi perde la vita sognandone una migliore. Non parlo di alieni, parlo di miei fratelli e sorelle. Parlo di quelli dei quali si è occupata recentemente la Summer School dei sociologi guidata da una sarda, la professoressa Antonietta Mazzette. Non a caso anche lei è un’isolana, sa cos’è il mare. Il mare per noi è tutto, è fonte di vita, è turismo. Il mare ha dato da vivere a mio padre pescatore, ho studiato perché me ne ha dato la possibilità il mare. Non posso accettare che oggi il mare sia sinonimo di naufragi, di un’apocalisse di genti».

Lei ricorda quasi con commozione la barca Kennedy di suo padre, quella che ha dato da vivere alla sua famiglia.

«Sulla Kennedy avevo imparato a fare il marinaio, il pescatore e a farmi lo stomaco. Avevo imparato la fatica vera, avevo trascorso con mio padre i momenti più belli, ma anche quelli più brutti perché anche io avevo rischiato di perdere la vita in mare. Come l’avevano persa i personaggi dei Malavoglia di Giovanni Verga. In mare ho imparato a conoscere la fame, ad amare l’acqua, a non poterne fare a meno. Un mare che è vita, non morte. Tremo a questo pensiero. Tremo nel vedere tanti cuori di pietra tra chi passa per strada e chi sta al governo. Per mio padre, invece, il mare era tutto. Quando si ammalò ripresi la vecchia barca Pilacchiera, quella con la quale portavo in giro i turisti o recuperavo i passeggeri di navi che non riuscivano ad attraccare in porto. Quando dovetti dismettere quella barca, seppi dalla Capitaneria che aveva 102 anni: per più di un secolo quella barca ci aveva fatto vivere. E perché invece oggi le barche devono essere sinonimo di morte?».

I ricordi più tragici?

«Non li vorrei raccontare qui, sono nelle pagine del libro perché il mondo deve sapere quali tragedie si vivono nel cuore dell’Africa, lo devono sapere a Bruxelles, all’Onu del Palazzo di vetro e al Viminale. Vi cito un nigeriano di 26 anni, evirato. Si rifiutò di spogliarsi perché si vergognava di mostrare il corpo mutilato. Mi aveva detto: un ragazzo estrasse un piccolo machete, vidi la lama attraversare l’aria e tranciare di netto il mio pene. Piangeva lacrime di sangue».

E le lacrime di sale?

«Quelle di mio padre. In punto di morte le lacrime scendevano sul suo viso sciogliendo quel sale che il sole aveva attaccato alla sua pelle. Lo stesso sale che oggi attacca i disperati del mare nostrum, cimitero senza croci e senza nomi».

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