La Nuova Sardegna

Viaggio lungo i secoli dagli antichi ovili ai fortilizi piemontesi

di SANDRO ROGGIO
Viaggio lungo i secoli dagli antichi ovili ai fortilizi piemontesi

Il volume “I tesori dell’architettura” , quarta uscita della collana “Tesori nascosti di Sardegna”, sarà in edicola domani con la Nuova al prezzo di 8,70 euro oltre il prezzo del quotidiano. E’ un’occ...

04 ottobre 2018
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Il volume “I tesori dell’architettura” , quarta uscita della collana “Tesori nascosti di Sardegna”, sarà in edicola domani con la Nuova al prezzo di 8,70 euro oltre il prezzo del quotidiano. E’ un’occasione importante per riflettere su un patrimonio storico di grande rilevanza.

VITTORIO AMEDEO. Ancora nelSettecento gli insediamenti dell’isola sono appena sufficienti per la sopravvivenza; un’armatura inconsistente, a servizio delle attività agricole e pastorali. In grado di accogliere i 300mila sudditi che Vittorio Amedeo trovava nell’isola malaccetta. Pochi e sparsi su un territorio vasto, e conosciuto dai nuovi padroni attraverso i rapporti sulle fortificazioni, sui cui si concentrava l’interesse del governo: l’uso militare dell’isola l’unico plausibile e conveniente per i Savoia a cui si assegnava la gran parte delle risorse. Il sovrano avrebbe avuto bisogno di una “guida” ben commentata della regione senza uomini e senza case, colpita da disgrazie ricorrenti: tra carestie e pestilenze, impedimenti alla crescita demografica ed economica. Se avesse saputo di più e fatto attenzione ai dettagli, si sarebbe stupito della energia dei sardi: in grado di mettere su un’organizzazione urbana, pure in assenza di mezzi e di informazioni sui modi evoluti di costruire. Architetture dignitose non mancavano negli agglomerati più importanti ma pure nei grandi prevalenti vuoti dove i nuraghi o le chiese romaniche, cresciuti attorno a qualche capanna, sembravano e sembrano inspiegabili.

OLTRE I NURAGHI. Sarebbe un errore se si guardasse la storia della architettura in Sardegna senza inquadrarla nella condizione di arretratezza per cui gli investimenti in opere durevoli erano occasionali. Anche nelle più favorevoli condizioni insediative, ad esempio nelle sette città regie più o meno fortificate. Se Vittorio Amedeo e i suoi successori avessero avuto più notizie, oltre quelle provenienti da mute e imprecise carte geografiche, avrebbero tratto qualche rassicurazione dalla competenza dei costruttori di muraglie megalitiche o di necropoli; o dei complessi realizzati in epoca romana a Kalaris, a Turris Libisonis, o a Fordongianus. O di chiese protocristiane o bizantine spesso in aree marginali come nel Sinis, magari con ardite soluzioni costruttive. L’architettura religiosa avrà episodi di alta qualità nel solco del romanico e del gotico grazie a abili maestranze provenienti dal Continente: il prolungato viavai dopo il XII secolo di provetti forestieri sui quali si faceva conto per coordinare alla meglio squadre di operai locali che apprendevano tecniche da trasferire nell’edilizia ordinaria per committenti più esigenti. I primi grandi cantieri di opere di fortificazione perlopiù sul mare e di chiese esemplari (Porto Torres, Saccargia, Bisarcio, Zuri, Dolianova, oltre che nelle aree urbane più popolate) saranno occasioni per gli indigeni di imparare molto in fretta grazie alla lezione di chi aveva un bagaglio di esperienze in più progredite regioni, si pensi ai capimastri appartenenti a comunità di monaci. Una formazione proseguita nei secoli successivi sotto la dominazione aragonese con il repertorio gotico-catalano e con quelli rinascimentale e barocco.

OPERE MILITARI. Gli stili, come mostra bene il volume in edicola con La Nuova, si stratificheranno in edifici religiosi e civili con ampliamenti e sovrapposizioni di corpi di fabbrica e apparati decorativi, con una frequenza dipendente dalla presenza nell’isola di fabbricieri e artisti per tempi sempre più lunghi, tra cui quelli inviati dal governo sabaudo per contribuire a essenziali imprese di modernizzazione. Si pensi alla influenza di ingegneri militari di eccellente livello come Craveri, Saverio Belgrano o Giuseppe Viana nel secolo XVIII, attivi come topografi, nella progettazione di torri e strade ma in grado di allestire a domanda le scenografie di una cerimonia o di progettare un palazzo adeguato alle attese di aristocratici esigenti.

GLI URBANISTI. Un processo che proseguirà nel primo Ottocento grazie alla presenza stabile nell’isola di Giuseppe Cominotti e Enrico Marchesi, impegnati nel cantiere delle grande strada sotto la guida di G. Antonio Carbonazzi. Ma impiegati in quel dinamico decennio, dopo il 1820, in rilevanti avventure per il progresso come il palazzo-teatro e il piano di espansione di Sassari, o di rilevanti sistemazioni urbanistiche nel capoluogo. Sarà in questa temperie che si formeranno i primi architetti sardi mandati a studiare in Accademie fuori dall’isola anche per la sollecitudine della famiglia reale . Così nel corso del XIX secolo la Sardegna assumerà un aspetto più coerente con quello delle città piemontesi e poi dell’Italia dopo l’Unità. Un classicismo essenziale per via del solito deficit di risorse con l’eccezione per poche opere celebrative. Più fastoso a Cagliari, dove si faceva conto sul talento indisscusso di Gaetano Cima e a Sassari grazie alla perizia sottovalutata di Francesco Agnesa. Buoni esempi da replicare, con qualche rinuncia, anche nei centri minori dell’isola. Il seguito novecentesco beneficia di questo faticoso percorso (grazie pure a fini esecutori come i sassaresi fratelli Fogu). Una esercizio indispensabile per stare al passo con le evoluzionidell’architettura: dallo Storicismo eclettico al Modernismo fino al Razionalismo del Ventennio specialmente nelle città nuove, a Carbonia come a Fertilia.

NUOVE SCOPERTE. Ben vengano pubblicazioni sull’architettura in Sardegna come quella proposta dalla Nuova, sempre utili per approfondire aspetti della storia dell’isola tra ombre e luci. I repertori di immagini, in particolare, non solo facilitano la scelta di itinerari di viaggio personalizzati: per apprezzare opere in qualche privilegiato contesto; o per scoprire il passaggio di architetti in qualche ambito più marginale, come capita di sapere casualmente. Ma contribuiscono ad esercitare lo sguardo sull’insieme dei manufatti secondo la loro collocazione storica e geografica, a considerare più consapevolmente il paesaggio che ci rappresenta e che sarebbe il caso di difendere con maggiore orgoglio e determinazione.

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