La Nuova Sardegna

«I bambini del mondo sanno ancora sognare tra rime e filastrocche»

di Roberta Sanna
«I bambini del mondo sanno ancora sognare tra rime e filastrocche»

Lo scrittore cagliaritano ospite del festival Tuttestorie «Un “Benvenuto” ai migranti è diverso rispetto a un anno fa»

06 ottobre 2018
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CAGLIARI. L’ultima volta Bruno Tognolini l’avevamo incontrato per “Il giardino dei musi eterni”, romanzo ancora fresco di successo. «Ho fatto il conto – dice lo scrittore e poeta – ne faccio uno ogni nove anni, è capitato con “Luna Moonda” e prima con “Lily del tramonto». Non è così per poesie, i versi e inni di cui è arrivato generosamente fornito al Festival Tuttestorie 2018. E se con Salani usciranno presto le Rime Rimedio - una collezione di 50 poesie, “prescrivibili” in caso di genitori separati, per una maestra che saluta gli alunni, o in altri casi, scritte nel tempo quando qualcuno si appellava al poeta per chiedere rimedio – all’ExMà di Cagliari debuttano ancora inedite le quartine dei “Magari!”, invocazioni augurali ai desideri, tema del festival 2019.

Magari accadesse. «Magari viene dal greco makarios, felice » spiega. È come dire: Felice io sarei se… e quindi, Magari accadesse! Risplende festosa nei raggi solari/ l’estate dei nostri magari, era la filastrocca nata per la Melevisione molti anni fa. Ora altre venti quartine, scandite una quotidianamente su Facebook, e qui realizzate dallo IAC di Matera che ogni giorno le intona coi ragazzi in “Se potessi esprimere un desiderio”, installazione della sala Puà, la sera sono prologo agli eventi di fine giornata, recitate col pubblico “a responsorio”. E tutti comprendono subito che si deve rispondere in coro Magari!” Ma ancora ci sono le “Rime Migranti”, altra collezione, di cui non è autore, ma cultore e amatore, e che è diventata occasione di un incontro nel festival. «L’abbiamo fatto a Cumcambias a San Sperate e questo è un passo successivo – racconta Tognolini -insieme a Mamadou Mengas, mediatore culturale senegalese da molto a Cagliari –. Mi assumo il compito di mostrare come nelle rime di gioco dei bambini c’è tanta bellezza. Io la conosco. Dopo venticinque anni di giro in tutte le scuole a dire le mie filastrocche ho cominciato a chiedere le loro. E le registro. In italiano e in dialetto, insieme a quelle arabe, cinesi, africane, di Bangladesh, Bosnia, Russia, perché in Italia ci sono tutti questi bambini. Le faccio sentire in tutti i miei convegni di pedagogia mostrando che i bambini sono produttori di bellezza poetica e ritmica. Come nelle glossolalie, emissioni di stringhe vocali sillabiche senza senso, che sono antichissime. O le rime delle “conte” in cui i bambini sviluppano contenuti non solo di suono ma anche di senso, di solito antagonisti e disubbidienti. Qualche giorno fa – prosegue lo scrittore - è uscito un mio articolo su “La Lettura” del Corriere con queste riflessioni, e l’avrei voluto intitolare “etica peletica pelimplipetica ed estetica poetica puerile”, partendo da una di queste stupende glossolalie, che io chiamo Viakal. Perché sono decalcificanti dei tubicini dell’apparato cognitivo, stressati ed ingombrati dalla stratificazione di senso, nella fatica dell’apprendimento di lingua e grammatica. Come la lavatrice fa un ciclo di lavaggio a vuoto per pulire se stessa, i bambini producono queste stringhe di poesia. E con un moltiplicatore di potenza che è Arrogalla, cui su questi 150 file audio ho chiesto di mettere sotto qualcosa che giocasse col ritmo e li rinforzasse, il risultato è meraviglioso».

Rime e conte. Non è chiaro cosa c’entri con i desideri e non è neanche dichiarato, riflette Tognolini. Ma forse è abbastanza esplicito. Soprattutto quando il discorso su rime e conte si fa profondo. Forse va nella direzione dei desideri di alcuni e contro quelli di altri, aggiunge. «Le Rime Migranti danno una percezione di prossimità remota, di familiarità limitrofa e marginale, è la stessa delle giaculatorie, dei rosari, del gongyo buddista, e viene da una base umana comune. Racconto ai bambini della vita fetale, chiedo loro: durante la notte secondo voi che cosa sente? Il cuore. Di chi? Della mamma. E quindi in queste ore di coscienza aurorale dove si fondano i pilastri di noi stessi, questo “tun-tà tun-tà”, lascia un imprinting in cui sentiamo come umanamente plausibile e giusto che la voce scandisca il ritmo. Poi domando: ma secondo voi il cuore di una mamma cinese come faceva? E di una africana? Tun-tà tun-tà. Ecco perché non ci sembrano straniere ed estranee le rime migranti, da regione a regione, da lingua a lingua. Accompagnate dal battere delle mani queste litanie di ritmo e gioco, bellezza e gioia sono armonie che ci lasciano la pace nel cuore».

Che cos’è il Benvenuto. « Così concludo con una delle mie, che inizia: Benvenuto tu che arrivi, da una mamma o da un deserto e ora sei con noi e vivi, insieme, a cielo aperto, troverai una gente ostile che ti odia e non ti vuole, troverai gente civile – a parole». E si conclude: «Fai quello che puoi, sei il futuro, ti saluto. Cambia tu, cambia noi. Benvenuto. Oggi dire benvenuto ai migranti significa schierarsi, molto più di un anno fa. Mi chiedo quante – visto che pare il 60 per cento degli italiani sia ostile ai migranti o silenzioso rispetto agli ostili – delle maestre che mi ascoltano siano in quel 60 e cosa capiti in loro quando dico “Benvenuti” e loro pensano “A casa loro”. Lo faccio perché l’ho sempre fatto. E non è il momento di zittirsi».



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