La Nuova Sardegna

Cantet: «Ai giovani offriamo un mondo violento e ingiusto»

di Daniela Paba

Il regista francese autore di “Risorse umane” ospite del Carbonia Film Festival Nel Sulcis della crisi economica l’autore che racconta il mondo del lavoro

16 ottobre 2018
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CARBONIA. Laurent Cantet si si racconta alla scrivania della vecchia direzione, mentre aspetta i giovani iscritti alla masterclass del “Carbonia Film Festival”. Presidente della giuria per i lungometraggi ha incontrato il pubblico venerdì e domenica dopo la proiezione di “Risorse umane” (1999) e “L’atelier”, l’ultimo film, uscito lo scorso anno. Per Paolo Serra, presidente del Festival dedicato a migrazioni e lavoro, essere riusciti a ospitare il regista francese che ha vinto Cannes con “La classe entre les mures” è la realizzazione di un sogno. Perché, insieme con Kean Loach, Cantet è l’unico capace di raccontare come è cambiato il lavoro, quale conflitto attraversa le generazioni e scava lo iato tra un passato recente di lotte e utopie, e il presente scandito da guerre tra diseredati senza chances.

Il Sulcis è considerato una delle regioni più povere d’Europa. Quale è stato il suo impatto con il Festival e con il suo territorio?

«Mi ricorda molto La Ciotat, dove ho girato “L’atelier”: una città che ruota intorno ai cantieri navali ormai chiuso, il rapporto affettivo che lega i vecchi al ricordo dei cantieri somiglia credo al sentimento che la gente di qui prova rispetto alla miniera».

Lei qui al Carbonia Film Festival ha anche avuto un incontro con i giovani...

«Amo molto lavorare con i giovani perché sono desiderosi di apprendere; hanno bisogno di essere ascoltati e bisogna smettere di giudicarli perché non hanno letto Molière o Maupassant. Credo sia necessario trovare un contatto con loro, altrimenti sarà una catastrofe».

Si ha l’impressione che le difficoltà di dialogo abbiano reso i giovani quasi afasici

«Non c’è spazio di prossimità: abbiamo paura del fossato che c’è tra noi e loro e quando si cerca il dialogo si scopre che parliamo lingue differenti. D’altronde il mondo che abbiamo offerto loro è talmente violento e privo di prospettive che credo da parte loro ci sia totale sfiducia, una sorta di diffidenza. Cosa offriamo loro? Paesaggi desolati come questo. I giovani non hanno la possibilità di proiettarsi in un futuro perché abbiamo fatto tabula rasa intorno, offriamo loro un mondo sempre più diviso, una precarietà sempre maggiore».

Eppure viene difficile pensare che non abbiamo vie d’uscita…un tempo c’era la scuola ma non solo.

«Quando lavoro con loro ho la percezione che sì, ci sono via d’uscita, possibilità, aperture e sono ottimista. Ci sono tanti esempi di cose molto belle che vengono dai giovani, offrono visioni diverse alle quali la nostra generazione non ha pensato. Resta il fatto che loro debbano essere molto forti per resistere e sottrarsi al giudizio quotidiano che troppo spesso noi imponiamo su di loro. Uno sguardo giudicante che li condanna».

Lei ha descritto come è cambiato il lavoro operaio, o quello dell’insegnante con un realismo emotivo che aiuta a capire i mutamenti.

« Quando ho girato “Risorse umane” i giovani venivano a vedere il film e intervenivano nei dibattiti dopo la proiezione. Venivano per vedere come il cinema li rappresentava. Penso ci sia bisogno di esistere in modo simbolico, che al cinema si parli di questo mondo perché la classe operaia ha perso il senso della sua visibilità e fierezza, della sua specificità. Ho girato “Risorse umane” cercando di ridare un’immagine a persone che non l’hanno più».

Il prossimo film?

«E’ troppo presto per parlarne: sto scrivendo un soggetto che parla di adolescenti e social, della potenza e della violenza dei social: una delle cose che la nostra generazione non può capire».

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