La Nuova Sardegna

Da Berkeley sino a Pratobello: cronache del Sessantotto nei disegni inediti di Nivola

Luca Urgu
Da Berkeley sino a Pratobello: cronache del Sessantotto nei disegni inediti di Nivola

La stagione delle rivolte degli studenti americani e dei pastori di Orgosolo. Molte opere mai viste nella mostra “What are we fighting for?”

16 ottobre 2018
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Quando eravamo guerrieri sapevamo per cosa stavamo combattendo. Ora che l’animus pugnandi si è molto affievolito non ci rimane che guardare al passato magari per trarne la giusta energia. E farlo con gli occhi di chi ha vissuto in prima persona quegli eventi è un privilegio raro. A Orani la Fondazione Nivola nel tardo pomeriggio di ieri ha inaugurato la mostra «What are we fighting for? Chicago ’68 / Orani ’68». Un viaggio nel mitico e controverso Sessantotto attraverso alcune opere di denuncia di Costantino Nivola che visse da vicino in America le manifestazioni di migliaia di giovani contro la guerra in Vietnam, ma che si sofferma anche sui fenomeni di casa nostra. Così dagli Stati Uniti il focus passa sulla situazione politica e sociale della Sardegna. Una stagione storica che si chiude nell’isola con le dimostrazioni di pastori, operai e studenti, uniti contro la violenza dello Stato e l’inerzia della classe dirigente. È il preludio di una più forte politicizzazione dell’arte di Nivola, che negli anni Settanta assumerà tratti di sardismo indipendentista. In un allestimento immersivo (curato dall’architetto Alessandro Floris su installazioni dell’artigiano Pierpaolo Ziranu) , la mostra accosta i disegni di Chicago e le immagini mediatiche che li hanno ispirati a scatti, slogan, filmati e documenti del Sessantotto a Orani, Orgosolo e in altri luoghi della Sardegna.

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LE DUE PATRIE. «Quest’anno è l’anniversario della morte di Nivola, scomparso nel 1988, ma anche delle proteste del 1968: abbiamo voluto legare le due ricorrenze in un solo evento, una mostra che ricorda l’artista attraverso il suo impegno politico e la sua intensa partecipazione ai moti di cambiamento che attraversavano l’America e la Sardegna, le due “patrie” cui si sentiva profondamente legato, presentando una importante serie di disegni quasi del tutto inediti», spiega Giuliana Altea, presidente della Fondazione Nivola. I disegni raffigurano le manifestazioni pacifiste tenutesi nel ‘68 in occasione della convention democratica per le primarie presidenziali, e la loro brutale repressione da parte della polizia e dell’esercito. Una serie straordinaria che rivela il profondo coinvolgimento di Nivola nei fatti e il valore simbolico che attribuiva loro. Da Chicago, il suo sguardo si sposta alla Sardegna e a Orani, ugualmente toccate dall’onda del mutamento: la Sardegna della rivolta di Pratobello contro l’insediamento militare, la Orani dei primi circoli e delle associazioni giovanili. Accanto ai disegni, foto e documenti ricostruiscono il clima della protesta in America e in Sardegna. Ma la mostra si spinge anche a riflettere sul presente, interrogando i giovani del 2018, i diciottenni e i ventottenni di Orani, ponendo loro la stessa domanda che pone il titolo della mostra: per cosa stiamo combattendo? Per cosa oggi vale la pena di lottare?

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DA CHICAGO E BOSTON. I disegni vengono quasi tutti dalla collezione della famiglia Nivola a Boston. «Molti sono inediti e sono stati una bella scoperta anche per noi: la vedova dell’artista Ruth – segnata dalle persecuzioni naziste – li considerava troppo politicizzati e preferiva non mostrarli. Oggi grazie alla disponibilità della figlia Claire possiamo presentarli finalmente al pubblico. Le foto di Chicago arrivano dagli archivi del Getty e da riviste reperite sul mercato antiquario, quelle sarde da ricerche di archivio e dalle case di tanti cittadini di Orani che hanno condiviso con noi documenti e memorie”, racconta la direttrice del Museo Nivola Antonella Camarda, che intende sottolineare il lavoro di squadra. «L'attività di ricerca, come gli altri aspetti della mostra, è stato curato da un collettivo che comprende il personale del museo al completo e un gruppo di giovani professionisti che per la prima volta si sono cimentati nella realizzazione di una mostra: Luca Cheri, Sergio Flore, Alessandro Floris, Elisa Lai, Cinzia Melis, Maria Luisa Pinna, Anna Pirisi, Barbara Puddu, Marta Satta, Carlo Spiga, Debora Tintis, Loretta Ziranu».

VENTI DI CAMBIAMENTO. Un accostamento di immagini, ma anche di suoni proiettano il visitatore in due mondi, l’America e la Sardegna, apparentemente così lontani ma anche con molti punti in comune. «La società americana e quella sarda sono profondamente differenti, e lo erano ancor di più cinquant’anni fa, quando il processo di globalizzazione non era ancora così avanzato. Nivola ne constatava puntualmente la diversità nei suoi periodici ritorni nell’isola», dice ancora Giuliana Altea. «Il vento di cambiamento che soffiava nel ‘68 però era uguale, un analogo bisogno di liberarsi del passato, di svecchiare una società ormai sclerotizzata».

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SPAZIO APERTO. Domenica in una bellissima giornata di autunno il museo Nivola era particolarmente luminoso e ricco di fascino. Appare davvero uno spazio rinnovato, dove anche gli anziani del paese vengono a frequentare la caffetteria panoramica. Insomma non un corpo estraneo alla comunità ma una parte importante di questa. «Un museo deve essere dinamico per esistere: non può accontentarsi di aprire le sue porte e lasciare che i visitatori vengano ad ammirarne i tesori, altrimenti diventa un mausoleo. Il museo Nivola ha una bella collezione, racconta la storia di un artista unico, ma per valorizzare l’opera di Nivola e il suo messaggio è necessario farli dialogare con la contemporaneità e con la storia attraverso mostre di artisti passati e presenti, e metterli in contatto con la comunità attraverso eventi pubblici e attività educativa», sottolinea la presidente della Fondazione, Camarda, che per corroborare la tesi snocciola alcune significative cifre. «Nel 2015, quando si è insediato l’attuale consiglio di amministrazione, il museo aveva 3000 visitatori, oggi viaggiamo sui 12 mila, un bel risultato per uno spazio situato in un piccolo paese lontano dai maggiori centri turistici».

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