La Nuova Sardegna

Leggere è viaggiare, con i paesi di Arminio e le panchine di Sebaste

di ANTONIO CALABRÒ

«Il vero viaggio di ricerca non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi», ha insegnato Marcel Proust. Franco Arminio, poeta del paesaggio, ne è da tempo straordinario testimone....

20 ottobre 2018
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«Il vero viaggio di ricerca non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi», ha insegnato Marcel Proust. Franco Arminio, poeta del paesaggio, ne è da tempo straordinario testimone. Gira per le sue terre, le colline e le montagne aspre dell’Irpinia e scrive di paesi e campagne, villaggi abbandonati e piazze popolose, riscoprendole ogni volta e cercando dettagli, scorci, piccole aperture dei luoghi e dell’anima che poi diventino storie.

Nelle pagine di Vento forte tra Lacedonia e Candela, Laterza, racconta di borghi poco visitati, privi di musei della civiltà contadina e di botteghe di prodotti tipici, di cittadini illustri e feste dal bizzarro folklore. Borghi qualunque. Ma da non abbandonare. Per dare, semmai, spazio e voce a comunità “in cui si sente l’assenza di chi se n’è andato e quella di chi non è mai venuto”. Ne emerge un ritratto di persone, anziane spesso, che vivono con straordinaria dignità un ciclo di storia inconsueta, di luoghi di un’Italia “minore” rispetto alla fama dei grandi luoghi turistici ma “maggiore” per forza e consapevolezza di vita. Nonostante tutto. Seguendo un consiglio poetico: “Porta il tuo paese in testa come si porta l’immagine dell’amata. Esci, vai nella piazza tua o d’un paese vicino, mai ti mancherà una bella vista”.

Si possono fare viaggiare gli occhi anche fermandosi su una panchina, a osservare. Lo racconta bene Beppe Sebaste in Panchine, appunto, per Laterza. Cominciando da una sera d’autunno a Ginevra, ricordando un grande scrittore come Robert Walser, “poetico e disadattato” e sostenendo che “la cultura, la letteratura soprattutto, in fondo non è altro che questo: fermarsi, guardare scorrere il mondo, guardare anche un po’ se stessi”. Si va avanti, commentando gli orari di apertura e chiusura di Green Park a Londra, chiacchierando nei caffè “luoghi della socialità facile”, spostandosi per paesi e città. Sino ad arrivare a Roma, davanti a Castel Sant’Angelo. A immaginarsi, da una panchina, di spiccare il volo come un uccello.

Viaggiare. E scrivere. Ce ne sono testimonianze straordinarie in Gli ultimi viaggiatori nell’Italia del Novecento di Attilio Brilli, Il Mulino, con un bel manifesto storico di Nanni per Pirelli, del 1933, in suggestiva copertina. Da Virginia Woolf a Marguerite Yourcenar, da Stefan Zweigg a D. H. Lawrence, da Albert Camus a Richard Wagner, da Thomas Man a Vasilji Kandinskij e a tanti altri ancora, l’Italia è stato luogo per eccellenza d’un viaggio tra archeologie e natura elegantemente addomesticata, storia affollata d’eventi e sofisticate espressioni di cultura, sino alle soglie del contemporaneo.

Alle tracce tradizionali del Grand Tour settecentesco si aggiungono gli stimoli d’un paese in cambiamento che affronta una contraddittoria modernità. “L’Italia è un sogno che continua a riproporsi per tutta la vita”, si emozionava Anna Achmatova. Lo sapevano anche i letterati italiani, come Guido Piovene e Riccardo Bacchelli. Occhi acuti e parole dense. Viaggiare, per scrivere.

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