La Nuova Sardegna

Ritorno al futuro con l’antico “trigu”

Giovanni Fancello
Ritorno al futuro con l’antico “trigu”

I grani tradizionali adatti alla panificazione di qualità e alle paste fresche

20 ottobre 2018
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Trigu aracenu, arista niedda, arrùbiu, berbeghinu, biancale, biancucciu, brenti bianca, biancu, brotzu, canu, coa de atàlgiu, cossu, dàinu, dent’e cani, fasciadu, longu de Atzara, moro, murru, pitzu de caboru, ruju, saragolla, questi i principali, ma tanti altri ancora sono i grani che gli anziani contadini della Sardegna ricordano di aver coltivato. Una necessità antica, infatti già l’uomo preistorico si ingegnò a raccogliere i semi del frumento allo stato spontaneo per soddisfare il bisogno primario di una alimentazione farinacea. Con lo sviluppo dell’agricoltura, si inizia a coltivare vari tipi di cereali come orzo, farro, grano, sorgo e anche leguminose. Tempi lontani e spesso dimenticati anche dai coltivatori contemporanei.

In Sardegna è attiva una cooperativa, la Cooperativa Madonna d’Itria di Villamar, direttore Efisio Rosso, che ha iniziato l’attività nel 1996 come centro cerealicolo e ora opera come centro d’ammasso nel distretto agricolo della Marmilla. Cooperativa capofila della Rete di filiera “Sardo Sole” che nell’isola coinvolge tre distretti: Terre dei Giganti (Sinis), Terre dei Nuraghi (Marmilla) e Terre Antiche (Mejlogu), con la finalità di contrastare l’avanzata di grano estero e di proteggere i produttori virtuosi. Grano sardo prodotto e trasformato in Sardegna, quindi. I grani adesso vengono indicati con un termine un po’ improprio, “antichi”. C’è da chiedersi perché. «Perché si tratta di grani censiti per la prima volta nei primi registri varietali regionali a fine Ottocento», spiega lo stesso Efisio Rosso e aggiunge: «Abbiamo iniziato un percorso di recupero genetico in Marmilla e nel Sinis in collaborazione con la Agris Ricerche. Ora stiamo uscendo dalla fase recupero per entrare nella fase produzione a pieno campo. Quest’anno abbiamo raccolto circa 350 quintali di matrici che saranno destinate parte per la macinazione e parte come seme e da macina».

I grani antichi erano antiche tipologie abbandonate, a quanto pare, per le basse rese per ettaro. «In effetti – continua Rosso – per i grani di una volta le rese in campo non sono eccezionali, si va dai 15 ai 22 quintali per ettaro, dipende dall’annata, ma ciò che li contraddistingue sono le elevate qualità organolettiche della granella: maggior contenuto proteico, ed elevato indice di giallo. Per questa ragione abbiamo deciso di ricoltivarli. Nel comparto della panificazione colmano un vuoto varietale, proprio perché le grandi sementiere producono principalmente grani per pastificazione altamente tenaci». E inoltre questi grani sono perfetti per le paste fresche, un settore che ha in serbo un promettente futuro. «Le prospettive di sviluppo sono nel settore sementiero – dice ancora Efisio Rosso –, visto che i grandi sementieri hanno in catalogo prevalentemente varietà idonee per pastificazione essiccata, ma anche nel comparto della panificazione di alta qualità».

I cosiddetti “grani antichi” hanno sviluppato caratteristiche preziose grazie alla millenaria selezione naturale, ma anche grazie a quella che le sapienti mani dell’uomo hanno elaborato. Si possono coltivare in zone con bassa piovosità, in terreni poco fertili e non necessitano di abuso di concimi chimici. Sono il frutto del lavoro di piccoli coltivatori e già in fase di molitura sprigionano quell’intenso e caratteristico profumo di grano che i grani di coltivazione intensiva non posseggono. Da qualche anno è stata acquisita maggior consapevolezza e molti contadini, anche in forma associata, stanno recuperando antiche varietà di grano, con la coscienza di una resa minore, ma col vantaggio di ottenere grani sani non sottoposti ad un elevato utilizzo di concimi, diserbanti e fertilizzanti chimici; il tutto a beneficio della salute del consumatore.

È a loro che il poeta pensa quando canta: «Del mare e della terra faremo pane, coltiveremo a grano la terra e i pianeti, il pane di ogni bocca, di ogni uomo, ogni giorno arriverà perché andammo a seminarlo e a produrlo non per un uomo ma per tutti, il pane, il pane per tutti i popoli e con esso ciò che ha forma e sapore di pane divideremo: la terra, la bellezza, l’amore, tutto questo ha sapore di pane». (Pablo Neruda - Ode al Pane).
 

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