La Nuova Sardegna

Cronache stupefacenti di un sardo a Mosca da Gorbaciov a Putin

di GIACOMO MAMELI

Nel libro di Ferdinando Buffoni la Russia post comunista fra ritratti umoristici e l’analisi di un potere sempre spietato

21 ottobre 2018
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Pubblichiamo la prefazione di Giacomo Mameli a “Una mosca a Mosca e Pushkin sta a guardare” di Ferdinando Buffoni (Cuec Editrice, 104 pagine, 12 euro)

* * *di GIACOMO MAMELI

Sarò amichevolmente scorretto. Perché ho sbagliato nel promettere una prefazione all'autore. Voglio dire che nel proporvi queste righe so di rubarvi del tempo prezioso perché ogni istante sottratto alla lettura di queste storie è un'appropriazione indebita. Avete tra le mani e sotto gli occhi pagine di vita vissuta nel pianeta Terra in un autentico romanzo di formazione: umanità e storia, Gorbaciov e Putin, politica ed economia, geografie e società, tanta economia spiegata come sa fare uno che ha capito come gira il mondo e come girano rubli, euro e dollari, yen e renminbi compresi. Resterete stupefatti conoscendo un Ivan Feodorovic. Con un medium deve intervistare nientemeno che Lenin e Stalin per un giornale «che divenne nel 1917 quotidiano del Governo Sovietico». A cose fatte, a pezzo scritto, il direttore «lesse l'intervista» e «nascose il documento». Succede ancora. Non solo «non si parla al conducente» ma il conducente va riverito con turibolo, tanto incenso e squilli di tromba. Soprattutto se il conducente ha il conto in banca. E sa trattare con i potenti. Il coraggioso direttore don Abbondio del giornale glorioso aveva confessato a Ivan: «Io pubblico quello che vogliono loro, pubblico tutto quello che non crea fastidio in alto». Così era ieri. Così è oggi. Speriamo non sia così per omnia saecula saeculorum. Anche se oggi – lo sancisce lo scrittore greco Petros Markaris – «è ottimista solo chi non conosce la realtà». Poi avete sette racconti. Uno più piacevole e godibile dell'altro. Ci sono quelli della via Arbat con un sottotitolo che vi porta alla Bocconi di Milano o nei santuari di Oxford, London School, Mit, Yale o Berkeley. Perché l'autore si diletta di «schegge della transizione all'economia di mercato» quando era Resident Advisor in rappresentanza del governo italiano prescelto dalla Federazione russa a rafforzare la concorrenza nel mercato finanziario. Il nostro Buffoni conosceva già Mosca, aveva visitato «per lavoro l'arco geografico del Pianeta con l'eccezione di Albania, Tajikistan e Turkmenistan)». Aveva scoperto la Russia nel 1992 «quando come funzionario della Bers» si era recato a Mosca «per valutare il settore bancario e identificare potenziali strutture finanziarie in grado di sostenere imprenditori privati meritevoli di credito e di partecipazione al capitale». Navigando fra tanti algoritmi, è stupefacente la descrizione di quanto succede nella via Ulitza Stary Arbat, della sua storia, del Cremlino e di Pietro il Grande, del cantautore Bulat Okudzhava e della tetralogia di Anatoli Rybakhov, di cambiavalute e saltimbanchi, e delle «vite di persone che avevano sperato che il Comunismo potesse garantire un umanesimo più a portata dell'uomo». E metteteci tutti gli inquilini del Cremlino, compreso il riconfermato palestrato zar del 2018. Nulla vi dirò del capitolo “La mosca”. Leggete e capirete la filosofia di vita tra un essere umano nato in Barbagia e di un orgoglioso dittero che affitto non paga nell'appartamento numero 3 del Vicolo Nikolapieskowski al 3° piano (per i russi) in una capitale che porta il nome di un fiume e di un insetto nero. E ancora «una bottiglia importata di qualche liquore che dicono valga una fortuna» insieme alle mostrine che «Vassili Vladimirovich pareva orgoglioso di mostrare». C'è la politica. Perché «noi abbiamo avuto gulag da quando esiste le Russia. Prima con gli zar, poi con il sistema sovietico, e anche adesso con la perestroica. Certo, i gulag della perestroica sono diversi da quelli degli zar e del sistema sovietico». Ma poi – in questa epopea sotto gli Urali – appare una stella cometa perché «mia moglie è stata per me la mia aurora e la luce della mia vita». E ancora tanto sentimento, con un distinto signore, in questa perenne Stary Arbat, «che sembra fare la guardia alla mattonella e a un fiore». Leggerete della cartomante, del divieto di svolta a sinistra con «quattro Alexei, eguali nel nome» che «non potevano esser più diversi fra loro»: il primo ingegnere aeronautico e istruttore di sci estremo, un altro – antiebraico – laureato in discipline sportive e appassionato di storia e di politica, il terzo «cintura nera di judo, non si sa mai», il quarto «programmatore con la passione dei rally automobilistici ma senza i fondi necessari per prendervi parte». E nulla-nulla anticiperò del «clachista», quello del «settimo potere». Per concludere. E per scusarmi – sinceramente – per il tempo che vi ho rubato. Troverete anche un titolino detto “Fuori onda” che fa da summa a tutta questa piacevole e istruttiva narrazione. Che ci ha fatto conoscere meglio un sardo di tutti i mondi. Ma che, quando si ritrova testimonial fra le cronache del villaggio dov'è nato, rimette i piedi per terra e non ha che da domandarsi: «Gli Attila di oggi non sono forse più spietati e crudeli di quelli che abbiamo conosciuto nei libri di storia?». Cronache (energetiche e untuose) dal mondo e cronache (agrosilvopastorali e umili) dal villaggio. Scritte da un Autore. Sì, con la A maiuscola.

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