La Nuova Sardegna

Arrogalla: i miei suoni nascono dai rottami

Giovanni Dessole
Arrogalla: i miei suoni nascono dai rottami

Francesco Medda, Arrogalla, è un collezionista di suoni e di esperienze. Arrogalla in limba significa rottami, piccoli pezzi, frammenti

27 ottobre 2018
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Francesco Medda, Arrogalla, è un collezionista di suoni e di esperienze. Arrogalla in limba significa rottami, piccoli pezzi, frammenti. Frammenti che messi insieme diventano musica. «La mia ricerca sonora si snoda tra culture popolari – quella sarda ma non solo –, paesaggi sonori e musica contemporanea. La mia proposta? Un po’ difficile definirla: è come in cucina, puoi fare di tutto e provare qualsiasi cosa». Arrogalla era un bambino curioso e giocherellone, particolarmente attratto e stimolato dai luoghi e dai suoni: «Crescere a Quartu Sant’Elena ha contribuito moltissimo alla mia formazione musicale, koinè di suoni ricchissima e in conflitto. La città, il mare, lo stagno, la campagna, le lingue, le musiche per strada dalla cantada campidanese al reggaeton passando per la techno, la musica senegalese, Radio Tunisi e l’hip hop».

Ed è proprio la cultura hip hop di prima metà anni Novanta che accende la scintilla: «In principio furono i graffiti, poi venne la musica: come tanti mi sono chiuso in cameretta a produrre beat ma serviva una strumentazione adatta. Facevo il porta pizze e compravo quel che potevo: giradischi, batterie elettroniche, mixer, campionatori... Non mi sono più fermato». L’hip hop apre la strada e detta il ritmo di inizio percorso, poi arrivano «King Tubby e la dub, la musica popolare sarda e del mondo, i paesaggi sonori e la scuola di Raymond Murray Schafer, l’ambient e la musica elettroacustica. Da qualche anno sono molto attratto dalla cumbia, dalle musiche tropicali, dalle nuove sonorità dal mondo e dalle contaminazioni. E poi i paesaggi, le case non finite, il mare, le foreste e l’archeologia. La buona cucina, le lingue, i libri e l’arte». Un vulcano in continua e fragorosa eruzione Arrogalla, la cui prima opera è stata “Su granitu ‘e arrana”: «Una composizione dub, uno scambio con l’artista “Tostoini” (Roberta Ragona - ndr): un quadro in cambio di una musica. Da allora prima su Myspace e poi su netlabel con etichette discografiche che pubblicavano solo online con licenza Creative Commons, come la francese “Libre Comme Lair”, ho iniziato a pubblicare le mie cose».

Arte, e ricerca: «Non si può scindere la ricerca dalla vita. Tutto quello che si vive è alla base della ricerca e la ricerca è la base della crescita umana». Arte, e contaminazione: «Viviamo in tempi bui, di chiusure e arroccamenti. Oggi la contaminazione è in tutti i sensi un vero e proprio atto politico, alla base di qualsiasi evoluzione – spiega –. Parlando di musica occidentale tutto è stato già scritto, esplorato. Cosa rimane? Restano i paesaggi in costante mutamento, i silenzi, gli errori, gli scarti, le porcherie ma soprattutto la capacità di associare elementi diversissimi nel modo più folle e fantasioso possibile». Via allora alle collaborazione con il suo socio Giacomo Casti, la compagnia “Antas Teatro” di San Sperate e l’amica Michela Murgia; con Chiara Murru e Le Ragazze Terribili (#KOI e Escape), con Flavio Soriga e gli Scrittori da Palco, e Bruno Tognolini, “Tuttestorie” e l’Associazione “Cherimus” con cui ha dato vita a due progetti tra cooperazione e arte contemporanea in Tunisia e Kenya. Giusto per citarne alcune.

La musica di oggi? «A volte abbiamo la fastidiosa tendenza a bollarla negativamente. Sono molto attratto dall’evoluzione del mondo musicale contemporaneo, trap compresa, anche se non amo la mercificazione e la massificazione. Mi sembra manchino le nicchie: oasi indipendenti, fucine indispensabili di nuove idee. Oggi più di ieri la musica sembra completamente asservita all’immagine, alle visualizzazioni. L’immagine conta, ma se si parla di musica è la musica ad essere fondante altrimenti è packaging». E la musica in Sardegna? «Un fenomeno gigantesco in proporzione agli abitanti, per qualità e quantità, da mettere in condizione di svilupparsi ancora di più. La Sardegna ha una scena culturale nazionale non riconducibile a quella italiana: abbiamo un sacco di cose da dire, noi sardi, nel consesso mondiale. Se non ancora istituzionalmente, almeno culturalmente». Una riflessione sul futuro: «Non so dove sarò fra 20 anni. Spero di conoscere sempre cose nuove lontano dal meccanismo della consolazione. E di dividermi sempre tra Sardegna e resto del mondo. Mi piace troppo».
 

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