La Nuova Sardegna

“Baranta”, gli anni gloriosi del Teatro di Sardegna

di Giacomo Mameli
“Baranta”, gli anni gloriosi del Teatro di Sardegna

In un documentario la storia di una grande istituzione culturale dell’isola Dai primi passi con “Carrasegare” all’attualità di “Macbettu” e dell’Eliseo

02 novembre 2018
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In un documentario di 46 minuti (titolo “Barànta”, cioè quaranta, regia di Cristina Maccioni) c'è la storia del teatro in Sardegna. Anzi, del Teatro di Sardegna che ufficialmente nasce nel 1973. Prima era guidata da Mario Faticoni. Si chiamava Cut (Centro universitario teatrale), si trasforma presto in Cit (Centro di iniziativa teatrale, tra gli attori di primo piano Franco Noè, Gianni Esposito e Giovanni Sanna) per poi prendere la sua vera fisionomia appunto nel '73. È di quegli anni la messa in scena di “Quelli dalla labbra bianche”, capolavoro epico ed etico di Francesco Masala sulla seconda guerra mondiale e sulle miserie di un'isola tormentata e senza lavoro. Anni di rodaggio e di consensi crescenti quando quarant'anni fa appunto c'è «lo snodo, perché diamo la stessa dignità alla letteratura sarda legandola a quella internazionale».

In quell'anno - ricorda Cristina Maccioni, regista e voce storica della Rai - debutta “Carrasegare”, ultima opera di Francesco Masala per la regia di Gianfranco Mazzoni e, allo stesso tempo, “Splendore e miserie della metropoli di New York” di Bertold Brecht con la regia di Marco Parodi. «È stato un anno esaltante che ci ha fatto capire il linguaggio universale del messaggio teatrale e di quale potenzialità aveva raggiunto il nostro team. L'anno di Masala e Brecht è stato come il nostro battesimo. Con le stagioni successive abbiamo avuto Raf Vallone, Paolo Bonacelli, Ludovica Modugno, Maddalena Crippa». Il resto è cronaca. Per non parlare della stretta attualità col Macbettu (opera di Alessando Serra) che ha appena lasciato il palco dell'Eliseo di Nuoro per approdare (oggi e domani) in Georgia a Tiblisi, il 16 e il 17 novembre a Montpellier, per poi dividersi fra Aix en Provence, Trieste, Buenos Aires, Perugia e altre ventisette città. «In questi tre anni di rappresentazione con griffe sarda dell'opera di Shakespeare abbiamo avuto perfino difficoltà a soddisfare tutte le richieste. Al Teatro Argentina di Roma siamo stati applauditi per oltre sei minuti». Nel documentario (proiettato nei giorni scorsi a Cagliari) scorrono i volti e le testimonianze di quanti hanno fatto grande il Teatro di Sardegna. Oggi - con le leggi cambiate in campo nazionale - è inserito fra le eccellenze italiane, cioè fra i Tric (Teatro di rilevante interesse culturale) col sigillo del Ministero per i beni culturali. E dopo aver avuto l'Eliseo di Nuoro «cerchiamo di dar voce a tutta l'isola perché la richiesta di spettacoli teatrali è in forte aumento» spiega Maccioni. «Con Barànta abbiamo voluto capire chi siamo attraverso quel che siamo stati. È un racconto che ripercorre le prime esperienze dagli anni Settanta a oggi attraverso le testimonianze degli attori, i documenti d’archivio, immagini fotografiche e video. Gli intervistati ricordano le sperimentazioni linguistiche che hanno animato la ricerca sul palco e fuori, le persone che hanno lavorato fianco a fianco, la rete di luoghi di spettacolo e le occasioni di incontro che hanno tracciato una geografia del teatro in Sardegna, i dialoghi con il mondo teatrale nazionale e il riconoscimento istituzionale». È impossibile citare i protagonisti di questa avventura: con Faticoni, Corrado Gai, Antonio Prost, Mario Pinna, Antonio Cabiddu, Maria Grazia Sughi, Basilio Scalas. E i testimonial del documentario: Maria Grazia Bodio, Lia Careddu, Corrado Giannetti (l'attore che ha impersonato Gramsci), Paolo Meloni, Isella Orchis, Cesare Saliu, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli, Rosalba Ziccheddu. È il gruppo che debutta alla Biennale di Venezia con Pinuccio Sciola, poi alle Cinque Terre, a Sant'Arcangelo di Romagna.

«A Venezia Sciola era arrivato con le canne di fiume raccolte la notte prima in un torrente di San Sperate. E piazza San Marco applaudì la Sardegna. E fu il debutto nazionale dei tenores di Neoneli. Era la Sardegna che cominciava a imporsi sulla scena nazionale». È lo stesso gruppo che rappresenta “Luci di Bohème” e “Terra di nessuno” e che porta i Quattro Mori in Quebec, a Madrid, a Granada, in Algeria, in Svizzera. Nel documentario scorrono le interviste di Isella Orchis che ricorda “La luna lo sa” e “La notte dei poeti”. Lia Careddu sigla l'amarcord di quarant'anni di spettacoli. Oggi, a presiedere questo gruppo di artisti made in Sardinia è Basilio Scalas: «Dopo il Teatro lirico di Cagliari siamo la seconda azienda culturale sarda. Gestendo l'Eliseo di Nuoro possiamo essere sempre più utili al territorio di tutta l'isola creando una rete di interessi che mettono il teatro al centro dell'attività culturale di qualità. In questi ultimi anni, con Macbettu, con L'avvoltoio abbiamo ottenuto e stiamo ottenendo riconoscimenti quasi a nostra insaputa. E non solo con testi legati all'isola». Sotto Natale prime prove de “Il giardino dei ciliegi” di Cechov, sempre con la regia di Serra. Debutto nazionale previsto per il prossimo settembre.

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