La Nuova Sardegna

Susanna Tamaro: la mia Sardegna, un luogo da sogno aspro e stupendo

di Angiola Bellu
La scrittrice Susanna Tamaro
La scrittrice Susanna Tamaro

La scrittrice parla del suo rapporto con l'isola e del nuovo libro "Il tuo sguardo illumina il mondo"

05 novembre 2018
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Con il suo ultimo libro, “Il tuo sguardo illumina il mondo” (Solferino Editore, Susanna Tamaro scrive una lunga struggente lettera al suo caro amico Pierluigi Cappello, uno dei maggiori poeti italiani contemporanei. Una vita, quella di Cappello, su una sedia a rotelle. E stroncata dalla malattia nel 2017. Due anime legate dalla medesima sensibilità – quelle della scrittrice e del poeta - dall’amore infinito per la vita, la natura, le piccole verità. Un’amicizia forte, con intese difficili da raggiungere. Il “noi” del libro della Tamaro ci cattura e ci costringe a riflettere sulla nostra condizione di persone figlie del nostro difficile tempo. Con la sua disarmante mitezza, Susanna Tamaro ha scritto un tagliente j’accuse e un inno alla vita. Ha accettato di parlarne con noi in quest’intervista, la prima in assoluto concessa su questo libro. In cui parla anche di Sardegna.

Qual è il suo rapporto con l’isola? «Ci sono venuta anni fa per lavoro. Sarei dovuta tornare ma si è ammalato Pierluigi. La Sardegna è una terra che mi ha sempre fatto sognare. Ho letto tanto su di essa. Ci sono solitudini, un’asprezza e una bellezza che mi sono molto affini. Mi ripropongo di sempre di ritornare, ma non d’estate, e con il mio furgoncino e la tenda». Un libro contro. Un libro che invita a restare umani contro la sfavillante medietà della nostra epoca. «Mi fa piacere quello che dice: pensavamo, con Pierluigi, di scrivere un piccolo grido di guerra contro questo mondo contemporaneo che sta prendendo delle pieghe così disumane, banali nella loro disumanità. Questo ci turbava molto e ci faceva riflettere».

Un libro sull’amicizia. Anche su questo prende le distanze – senza per altro citarle – dalle amicizie elettroniche e le relative numerose e banali manifestazioni d’affetto. Cosa è quindi l’amicizia? «L’amicizia è un sentimento profondo, forse il più puro, è un rapporto d’amore che chiede sacrificio, pazienza, ascolto». “Per fortuna nel mondo esiste una grande parte che ragione non è”, cito dal suo libro. Che cosa significa credere che la ragione sia la bussola di tutto? «Significa che abbiamo cancellato tutto quanto è “cuore”; il fatto cioè che l’uomo è complessità, contraddittorietà. La sua grande energia nasce da una potenza interiore che è necessità di capire, mettersi in discussione. Nella nostra vita esiste una parte oscura che si chiama “mistero” e la ragione non potrà mai penetrarla. Ci sono un’infinità di cose che non siano in grado di capire e che probabilmente non capiremo mai. E’ arrogante affidare alla mente tutte le potenzialità dell’essere umano».

C’è, nel suo libro, un’osservazione della Natura che ricorda i suoi tratti magnifici e misteriosi descritti dall’antica letteratura orientale. Ce ne può parlare? «La natura è soffocata dal nostro degrado e da una visione ideologica, ma non si sa più vedere quello che ci offre, non si capisce quello di cui ci parla. C’è una specie di cecità verso l’armonia dei colori, delle foglie che cadono. Una grande bellezza sempre gratuita. Non paghiamo per avere i fiori nei campi: un trionfo di bellezza». “Siamo querce che si son fatte salici”, dice di sé e del suo caro amico Pierluigi Cappello. Cosa significa? «Sia Pierluigi che io abbiamo avuto dalla natura un carattere forte. Questa forza è stata messa alla prova e abbiamo capito che, per continuare ad esistere, doveva diventare morbida, come quella del salice. La quercia è fortissima. In Sardegna da voi ci sono querce fantastiche. I loro rami sono un abbraccio al cielo, ma un fulmine facilmente le spezza, e muoiono. Nella vita dobbiamo imparare a capire che la vera forza è quella che sa piegarsi, che sa accompagnare il vento, come fa il salice».

«Allo scontro abbiamo preferito l’ascolto», lei dice al suo amico. Ma quale ascolto è possibile? «Siamo sempre più sordi. Anche fisiologicamente, a furia di mettere auricolari alle orecchie. Non si sa più ascoltare. Con Pierluigi condividevamo la passione per la natura e parlavamo di coccinelle e cavallette, di tutto il mondo piccolo. Ma avevamo questa capacità di raggiungere il silenzio e di aspettare che ci parlasse con le sue parole. Pensavamo che questa è la missione dell’artista; offrire parole luminose, che nobilitano il pensiero. Tutta la nostra amicizia è ruotata intorno al silenzio. Oggi il mondo vive il frastuono perpetuo: è difficile trovare la quiete per poter incominciare un pensiero personale».

Lei riflette sulla neve, non quella “sciata”, quella silenziosa. Ci racconta qualcosa? «Come Pierluigi anche io amo la neve. Quando sta per arrivare si sente un’aria diversa, il cielo è ovattato, c’è una preparazione. La neve è una grande catarsi, il mondo diventa candido: è una grandissima metafora della rinascita. Mi manca tanto, col cambio climatico non c’è più. Mi fa impressione l’aspetto sempre ludico della natura: c’è la neve, andiamo a sciare. Non c’è la contemplazione, la natura è solo divertimento, senza una visione. Penso alle bellissime dune rosse che ho visto in Namibia: ci è stato offerto di cavalcarle con specie di slitta. Ridevano e urlavano: la dissacrazione». Trasformiamo tutto in una grande Disneyland. Anche la parola, che lei dice «si nutre dell’ombra». Cosa significa? Deve andare incontro al mistero, per essere veramente una parola che cresce. Nascere nell’ombra – una zona che con la ragione non riusciamo ad esplorare – per andare verso la luce, come la pianta. Se non abbiamo zone d’ombra fertili non riusciamo a fare germogliare le parole».

Lei descrive così la «parola seriale»: «rendita» che non svela, ma rassicura. Cosa è questo «involucro della medietà»? «Abbiamo un restringimento pauroso del vocabolario, poche parole che non sappiamo come usare. Quelle che riguardano i sentimenti sono usate in una esagerazione emotiva che le banalizza. Tra tv e Internet è passato quel flusso di banalità confortante, naturalmente finto». Può la bellezza essere educazione al sentimento? «Sono anni che mi batto per nuovi modelli di educazione per i bambini, che vedo assolutamente disperati: c’è una crescita di problemi psichiatrici e di salute perché manca una educazione al sentimento, al senso dell’esistere, della fragilità. Sono protetti da tutto, ma in questo c’è qualcosa di brutale: si proteggono ma non si danno loro le ragioni del vivere».

Lei racconta di quanto con il suo amico vi sentivate feriti dall’attuale degrado dei rapporti umani. E poi racconta di «un formicaio planetario» in cui si sarebbe trasformata la complessità del mondo. «Ho l’impressione che il mondo sia trasformato in un formicaio, perché tutti i nostri pensieri sono eterodiretti dalla “formica regina”. Mentre il fine della vera formica regina è preservare la specie, noi non sappiamo chi sia la formica regina che ci governa; chi insuffla i pensieri nella rete. E’ molto oscura e non sappiamo se abbia un volto benefico, sospetto di no. Siamo bombardati da pensieri già pensati, da desideri imposti. È un cambiamento spaventoso». Da una parte il formicaio ma dall’altra c’è questa idea che ciascuno sia padrone del proprio destino. Qual’è la verità? «Il destino non è nelle nostre mani, è un cavallo scosso. Siamo in balìa del corso degli eventi. Bisogna essere pronti, confrontarsi con questa cosa. Ci son brusche fermate spaventose ma se siamo pronti abbiamo infinite risorse interiori».

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