La Nuova Sardegna

L’Italia paralizzata dal sonno del primo Presidente donna

di GIANNI CARIA
L’Italia paralizzata dal sonno del primo Presidente donna

Il nuovo romanzo del magistrato sassarese Gianni Caria sarà presentato il 14 Un misterioso malore che si intreccia alle riflessioni di un giovane corazziere

07 novembre 2018
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Pubblichiamo una parte del capitolo iniziale di “Il Presidente dorme” (Bibliotheka Edizioni, 14 euro), il nuovo romanzo del Procuratore capo della Repubblica di Sassari, Gianni Caria, magistrato e scrittore.

* * *di GIANNI CARIA

Quanto durerà questo servizio? Al Comandante non l’ho chiesto. Il silenzio è d’oro. Ma lui deve avere capito qualcosa da un mio battito di ciglia, da un increspare del labbro. «Non so quanto durerà. Di sicuro fino a quando non si sveglierà». Mi ha comunicato solo che da un certo punto in poi sarei stato qua per tutto l’orario di apertura della clinica. Dalle sei del mattino alle nove di sera. Non mi ha detto che sarei dovuto rimanere immobile in piedi, ma per me è una cosa scontata: se sono qui con la divisa di gran gala non posso stare in altra maniera. Non qui, non in questo servizio. Però tutte queste ore mi sembrano troppe e mi chiedo se potrò sopportarle.

Ne sono già passate tre e non è venuto nessun visitatore, solo un’infermiera e un medico che si sono infilati nella stanza dietro di me, oltre il vetro. Avrei voluto guardare mentre aggeggiavano sulle macchine, mentre si davano da fare intorno al corpo. Sono andati via dopo un quarto d’ora, lanciandomi un’occhiata di curiosità. Prima o poi anche loro vorranno farsi fotografare vicino a me.

Il Presidente dorme da una settimana. È questo il problema: il Presidente si è addormentato e non sappiamo quando si sveglierà. Mi hanno raccontato tutto i miei commilitoni di turno quella mattina al Quirinale. Era nello studio, il viso all’ingiù sulla scrivania, il braccio destro proteso in avanti con ancora nella mano rattrappita la piccola biro argentata. Sulla scrivania un foglio con l’elenco dei nuovi ministri. «Ci credi, c’erano due nomi cancellati con vicino scritto a mano un grande NO – mi ha detto Rais – ma non ho fatto in tempo a vederli, perché il Comandante l’ha fatto sparire mentre soccorrevamo il Presidente» .

Era stato messo giù sul tappeto, slacciata la camicia bianca, tolte le scarpe. Il medico di turno si era prodigato intorno al Presidente nei due minuti necessari perché arrivassero i barellieri dell’ambulanza. «Subito, alla clinica» aveva detto in un soffio allentandosi il nodo della cravatta, il volto rosso e sudato.

L’ambulanza era partita veloce, preceduta da due dei nostri con la motocicletta e la sirena. Quattro minuti dal Quirinale alla clinica, non di più, mi hanno poi detto con un certo orgoglio.

Dicono che qui il Presidente sia stato operato al cervello, ma da quello che vedo io non mi sembra possibile. Il volto è disteso, il profilo del piccolo naso aquilino si staglia con nettezza sullo sfondo della parete bianca. I capelli cadono scomposti sulla fronte e non c’è traccia di fasciature sulla testa. Il corpo è interamente coperto da un lenzuolo verde, ma ne percepisco comunque i contorni e la lunghezza. Quaranta centimetri meno di me, pensai sorridendo la prima volta che vidi il Presidente nella Sala dei Corazzieri. Ci passò in rivista, lo sguardo che si sforzava di essere serio ma che a me pareva divertito. Camminava impettito, con un’andatura frenata. Conosco quell’atteggiamento, l’ho visto in tante parate, un tentativo maldestro di rigore marziale di chi non ha fatto neanche il militare, accenni di rigidi inchini alla bandiera. Questo Presidente mi parve più disinvolto, come se si rendesse conto che in ogni caso da parte sua un passo marziale sarebbe stato improbabile a prescindere. Giusto un leggero arrestarsi, quasi più per godersi la scena che altro.

Mi piaceva questo Presidente diverso. Quando mi passò davanti notai che la sua testa non arrivava al livello del mio mento. Quaranta centimetri più o meno, pensai, contando che aveva i tacchi più alti dei miei.

Il Presidente, Anita Bertoli, prima donna a diventare Presidente della Repubblica, dorme là dietro il vetro, alle mie spalle.

Si era subito posta una questione linguistica. Il Presidente o la Presidente? Certo non toccava a noi dirimere il problema, che con lei praticamente non parlavamo. Tranne quelli che facevano la scorta in borghese, quelli selezionati, i più bravi a entrare in azione. Loro la vedevano tutti i giorni, la accompagnavano fuori, bonificavano il terreno prima del suo passaggio. Non so, forse loro arrivavano ad avere più confidenza.

Il Presidente, la Presidente. Il Comandante ce l’aveva detto, categorico come sempre: il Presidente è il Presidente, e basta. Come se fosse senza sesso, ho pensato io. Mica hanno questo problema in Vaticano quando fanno il Papa. O in America, che l’articolo è uguale al femminile e al maschile, un po’ di inglese l’ho studiato. Ma neanche loro hanno mai avuto un Presidente donna. Figlio di immigrati sì, ma donna ancora no. Come lo chiameranno i tedeschi?

Il Comandante era stato categorico, il Presidente e basta. Ma io i giornali li leggo e guardo la tv: qualcuno ha iniziato a chiamarla al femminile e ormai lo fanno tutti. Il Comandante è qui da qualche minuto. Guarda attraverso il vetro, si toglie il cappello, passa la mano all’indietro per lisciarsi i capelli e poi lo rimette. «Senti – mi dice – non c’è mica bisogno di stare impalato se non c’è nessuno. Le visite saranno poche, giusto quelle istituzionali. Le filtrerà il Segretario Generale e poi il Maresciallo Rao che ti avviserà per tempo; gli ho già detto di chiamarti al telefono e di comunicarti quando arriva qualcuno».

Cambio immediatamente postura e mi giro in direzione del vetro. Lui si avvia verso l’uscita senza rispondere al mio saluto militare. Sento i passi allontanarsi e mi sfilo l’elmo, appoggiandolo alla sedia.

© BIBLIOTHEKA EDIZIONI

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